I presidenti delle Confindustrie di quattro regioni del nord hanno lanciato ieri un appello drammatico al Governo per la “riapertura delle imprese, la difesa dei luoghi di lavoro, in piena sicurezza”: “Se le quattro principali regioni del Nord che rappresentano il 45% del Pil italiano non riusciranno a ripartire nel breve periodo il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia”.
L’appello evidenza due questioni. La prima è lo stato drammatico dell’economia italiana. La percezione della gravità della situazione nella gente è prossima allo zero un po’ perché si vive ancora sospesi in una sorta di bolla, un po’ perché gli italiani hanno risparmi e una rete di solidarietà diffusa e un po’ per il grandissimo numero di pensionati e dipendenti pubblici. Eppure le stime di contrazione del Pil italiano per il 2020 sono di nuovo le peggiori tra i Paesi industrializzati.
La recessione globale in Italia è aggravata dal fatto che il numero delle imprese chiuse ha un’ampiezza che non è paragonabile in nessuna altra economia. Si sono chiuse d’ufficio persino imprese dove il rapporto tra persone e metri quadri è bassissimo. Si narra che l’ampiezza sia stata superiore persino alle richieste dei sindacati. Oggi ci sono migliaia di imprese italiane che stanno perdendo clienti sostituiti da competitor esteri. Clienti che non torneranno più se il blocco prosegue. L’appello di Confindustria è un attestato vero di quanto sia tragica la situazione. Rimane sullo sfondo lo sgomento per un Governo completamente rinunciatario. In Italia ci sarebbero tutte le competenze mediche, tecnologiche e industriali per un’apertura delle imprese in sicurezza.
La seconda questione è che le misure messe in campo dal Governo sostanzialmente non esistono a partire dall’annuncio, veramente surreale, dei 400 miliardi di garanzie. Si scopre con il passare delle ore l’assoluta inconsistenza del provvedimento offerto in una fase in cui non si comprende per cosa bisognerebbe chiedere un prestito visto che l’attività economica sta collassando. Chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale non può non accorgersi che non è assolutamente nulla, nella pratica, rispetto a quanto hanno fatto Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti o Giappone. I passaggi burocratici sarebbero lunghi e penosi e un altissimo numero di imprese ne sarebbe completamente escluso. È una misura che, forse, potrebbe funzionare solo per le aziende più grandi e più solide; in pratica quelle che ne hanno meno bisogno.
Si spiega quindi il grido di allarme di migliaia di imprenditori piccoli e grandi; abbandonati completamente dal proprio Governo che li sta spingendo in massa a spostare sedi e stabilimenti all’estero e messi nella circostanza di non aprire persino con condizioni di sicurezza elevate. Si pensi alla chiusura di stabilimenti che avevano già da settimane installato termoscanner e comprato mascherine chirurgiche. Il capo economista di Unicredit non si capacitava in un report pubblicato settimana scorsa dell’assoluta inazione del Governo italiano che sta mandando alla malora famiglie e imprese. L’emergenza sanitaria sta rientrando grazie al buon senso di milioni di italiani che si mettono le mascherine nonostante i “consigli”.
Le misure prese dal Governo per l’emergenza economica sono nulle. Nulle nei soldi e nulle nella programmazione di una convivenza con il virus che nel resto d’Europa diventa possibile. Dalle fabbriche tedesche a quelle francesi. Tra l’altro: i tassi di mortalità e infezione grave nella popolazione di età inferiore ai 40 anni sono bassissimi. Lo dice l’Istat, lo dice la Protezione civile, lo dice il Veneto. Possibile che non si riesca a immaginare nemmeno una banalissima riapertura per fasce di età? Se l’obiezione è che si vive con i “genitori” rispondiamo che ci sono migliaia di hotel vuoti.