Quante cose capitano in questi giorni in cui si cerca una prima risposta alla clausura imposta da una lunga quaresima. Procediamo con ordine. Ancora una volta il primo colpo, il più significativo, arriva dagli Stati Uniti. Immediatamente dopo l’annuncio delle nuove richieste di sussidio di disoccupazione (6,6 milioni, ovvero 16,8 milioni nelle ultime tre settimane), la Federal Reserve ha annunciato un ulteriore programma di prestiti ai governi locali e alle imprese per 2.300 miliardi di dollari.
Al di là delle cifre, però, impressiona la determinazione della banca centrale Usa nel far affluire il più in fretta possibile prestiti e contributi vari all’economia. La Fed finanzia le banche (che pagheranno i dividendi) perché offrano credito alle imprese, compartecipa ai prestiti, li prende a sconto. Rifinanzia una larghissima gamma di asset e compra corporate bond, sia sul secondario che sul primario. Infine, per la prima volta, compra Etf investiti nei junk bond.
Assai ardita anche la mossa della Bank of England che, come già aveva fatto nella crisi del 2008, ha esteso le dimensioni del conto del Tesoro, da 400 milioni di sterline a 2,5 miliardi con l’obiettivo di fornire liquidità alla cosa pubblica.
Un fiume di denari che non rischia di tradursi in inflazione, vista la crisi generale. I mercati hanno accolto con un forte ribasso dei prezzi il taglio di 10 milioni di barili deciso dall’Opec+: troppo poco per far fronte alla caduta della domanda così forte che i produttori non sanno più dove stivare in greggio, in terra come in mare. Non meno drammatico, specie per l’Italia, il crollo del turismo, per cui si annuncia una lunga fase di pura sopravvivenza in attesa di una profonda ristrutturazione. Di qui la garanzia di tassi a zero per tutto il futuro prevedibile e il crollo di tabù fiscali e monetari che già avevano iniziato a sgretolarsi sul piano intellettuale negli ultimi tempi.
Il risultato? La ripresa potrebbe essere, se la pandemia lo consentirà, assai più rapida del previsto, ma sul terreno resteranno tante vittime, sia Stati che proprietà di aziende destinati a passar di mano o a chiudere.
È in questo quadro che si colloca la resilienza del sistema Italia, nei giorni scorsi al centro del negoziato a distanza tra i ministri finanziari Ue alla ricerca di una quadra tra falchi, specie quelli olandesi, e le richieste del Sud Europa.
Alla fine il compromesso emerso prevede un pacchetto da oltre 500 miliardi di euro costituito da: un accesso senza condizioni al Mes, il fondo salva-Stati, per quanto riguarda le spese sanitarie fino al 2% del Pil dei vari Paesi (ovvero 35 miliardi circa per l’Italia), liquidità alle imprese garantite dalla Banca europea per gli investimenti (fino a 200 miliardi) e un fondo comune di assicurazione per l’occupazione (100 miliardi). Non si fa menzione degli Eurobond, cosa che fatto gridare al trionfo i politici olandesi, ma ci si impegna a realizzare il Recovery Fund proposto dalla Francia per sostenere la ripresa, su cui dovrà lavorare il Consiglio europeo della prossima settimana.
Non è un successo per l’Italia, non è nemmeno un fallimento purché, una volta tanto, il Paese sfrutti con determinazione ed energia gli spazi guadagnati. Come ha detto il vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco, dalla crisi “può nascere anche un’opportunità di ripensare al sistema Italia. Ma servono 4 ingredienti, tutti che iniziano con la C: competenze, coordinamento, concretezza e, appunto, credibilità”. È quanto serve a un Paese che deve ripensarsi in chiave moderna e al contempo andare sui mercati a raccogliere diverse centinaia di miliardi come accadrà nei prossimi anni.