In tempi di pandemia, anche le considerazioni di natura bioetica vanno prese in una prospettiva che coinvolga nel modo più ampio possibile paesi diversi, con storie culturali diverse e con prospettive economiche altrettanto diverse. Occorre ricercare un denominatore comune che permetta a diversità così marcate e così estese di trovare un punto di equilibrio in cui tutti ci si possa riconoscere come l’orizzonte più alto in cui la dignità umana assume carattere di diritto e non è più soggetta ad interpretazioni e manipolazioni arbitrarie.
È quanto ha tentato di fare, il 14 aprile 2020, a Strasburgo, il Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa. Il titolo del Documento appena pubblicato non lascia dubbi sulle intenzioni del legislatore: Diritti umani guidino sempre le decisioni sanitarie, anche in un contesto di emergenza e durante la gestione di una crisi sanitaria senza precedenti come quella che stiamo vivendo in tutto il mondo. Non ci sono incertezze nella affermazione contundente che fa da leitmotiv all’intero documento: i diritti di tutti gli individui vanno sempre tutelati e va garantita assistenza ai più deboli, senza eccezioni di sorta. Il documento affronta anche il tema dei Big Data e sottolinea come dati sanitari utili per la lotta al virus devono essere protetti, nello stesso modo in cui si procede con le informazioni relative alle persone che partecipano a progetti di ricerca.
Il Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa per fare queste due affermazioni fondamentali, diritto alla Vita e diritto alla Privacy, in cui si riassume la biografia di ognuno di noi, la nostra storia personale e la nostra storia sanitaria, richiama il valore dei due principi essenziali su cui si fondano: il rispetto della dignità umana e il rispetto dei diritti umani. Sono proprio questi ultimi che devono guidare decisioni e comportamenti nel contesto di una crisi in cui ogni giorno di più si vanno delineando importanti problemi etici, che le autorità competenti devono tenere in tutta la maggiore considerazione possibile. Il numero dei casi gravi e gravissimi, da affrontare in rapporto alla scarsità delle risorse disponibili, ha creato problemi di coscienza molto seri, non solo sul piano bioetico, ma anche su quello bio-giuridico. E molto probabilmente avrà gravi ripercussioni anche sul piano penale, come sta emergendo ogni giorno con più chiarezza.
La scarsità di letti in terapia intensiva e la necessità di scegliere a chi destinarli; la carenza di tamponi e ancora una volta la difficile decisione di scegliere a chi fare il tampone prima o dopo; ma anche la mancanza di mascherine nel momento in cui sarebbero state assolutamente necessarie per contenere il contagio, tutto ciò pone problemi etici, che non possono dirsi inediti, ma che per la loro dimensione hanno travolto i decisori politici e sanitari.
Il Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa ricorda che l’unico strumento giuridico internazionale vincolante in questo settore è la Convenzione di Oviedo, che offre un quadro di riferimento essenziale per la protezione dei diritti umani, anche in un contesto di emergenza e durante la gestione di una crisi sanitaria. La Convenzione di Oviedo è il primo trattato internazionale sulla bioetica, ed è stato firmato il 4 aprile 1997, fermamente voluto proprio dal Consiglio d’Europa, per fare chiarezza su di una serie di problemi inediti che stavano sorgendo in quegli anni. L’Italia l’ha recepita nel proprio ordinamento giuridico con la legge 28 marzo 2001, n. 145. Uno strumento indispensabile per guidare le decisioni e le pratiche sia in campo clinico che in quello della ricerca. Ed è in questa prospettiva che il Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa il 14 aprile 2020 ha voluto ricordare una serie di principi giuridici, che vale la pena sottolineare in un momento così complesso, e oggettivamente ancora distante dalla conclusione. Con 2 milioni di persone colpite nel mondo e 131.000 morte, di cui 21.100 solo in Italia, sono i dati ufficiali ad oggi, è ben difficile pensare che siamo vicini alla conclusione della pandemia, per cui tener presenti i principi di cui parla la commissione di Bioetica del Consiglio d’Europa non può che essere di estrema utilità nelle decisioni che restano ancora da prendere, ma anche per valutare le decisioni prese fino ad ora. Si tratta di cinque punti chiave che devono avere forte valenza, non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, ed è proprio dalla condivisione e dalla convergenza delle linee direttive che può nascere una nuova speranza:
– equità nell’accesso all’assistenza sanitaria, anche in tempi di ristrettezze economiche, senza discriminare le persone più vulnerabili, come i disabili, gli anziani, i rifugiati o i migranti;
– sottoporre a specifica protezione la raccolta e il trattamento di dati sanitari, essenziali nella lotta contro Covid-19, per rispettare il diritto alla privacy di ognuno;
– imporre restrizioni all’esercizio di alcuni diritti, con norme ad hoc, ma solo per proteggere interessi collettivi, come quello della sanità pubblica;
– tutelare gli operatori sanitari nel contesto della crisi Covid-19 prevedendo per loro condizioni speciali, da applicare in situazioni di emergenza clinica come l’epidemia;
– garantire il massimo rispetto nella applicazione del protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo sulla ricerca biomedica, laddove si definiscono le condizioni in base alle quali la ricerca sulle persone in emergenza clinica può essere eseguita.
Ci sono aspetti del Preambolo della Convenzione di Oviedo che fino ad ora non sono stati applicati con la dovuta importanza, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione di una più profonda unità tra gli Stati per la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti umani. Ciò richiederebbe una cooperazione internazionale almeno a livello europeo, indispensabile per garantire i diritti di ogni membro del corpo sociale, di cui finora non si è vista traccia. Eppure, la solidarietà, la collaborazione, l’interdipendenza assunta come istanza etica meriterebbero una riflessione capace di svelare nuove dimensioni della bioetica, anche in chiave biomedica. L’epidemia ha rivelato come ogni Paese può essere fonte di contagio e di rischio per l’altro, ma proprio per questo può anche rappresentare contestualmente un baluardo positivo al contenimento delle conseguenze della pandemia. Non la misureremo solo con gli scarni numeri degli ammalati e dei morti, ma anche dei poveri e dei disoccupati. La misureremo in termini di Pil che non cresce, a livello nazionale ed europeo, ma anche di aziende che falliscono, di persone che rinunziano a curarsi perché non ne hanno la disponibilità; di opportunità che si riducono anche come opzione formativa per le famiglie, che sempre meno potranno scegliere la scuola a cui inviare i propri figli. Tornare ad un livello giusto di benessere richiede appunto cooperazione internazionale e anche questo è un tema e un problema bioetico, a cui già la Convenzione di Oviedo accennava nel 1997, ossia quasi 25 anni fa.
Non a caso il Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa ha assunto due ulteriori impegni, che caratterizzeranno il suo lavoro lungo il prossimo quinquennio (2020-2025), restando nel campo dei diritti umani. Il primo riguarda la condivisione della conoscenza in un ambito così complesso come quello delle pandemie, probabilmente destinate a ripetersi nei prossimi anni. Il secondo invece si riferisce ad una più ampia riflessione sulle questioni etiche, non di rado inedite, emerse in questa occasione.