Caro direttore,
il tema del dibattito economico degli ultimi giorni, che ha rubato la scena a molti altri, è certamente la convenienza o meno per l’Italia nell’accettare il Mes proposto dall’Ue. È un tema sicuramente vischioso e non certo facile, per cui da economista d’impresa vorrei cogliere l’occasione che mi è consentita per riportare il dibattito su temi di economia reale. Per quanto riguarda il Mes, mi limito a dire che se veramente fosse un strumento utile, solidale ed equilibrato, con basso tasso d’interesse e senza condizioni, non lo scarterei preventivamente. Di sicuro però non comprerei a “scatola vuota”. Andrei a fondo nell’esaminare tutti gli aspetti tecnici, per evitare che qualche insidia risieda nei garbugli contrattuali che spesso caratterizzano le carte finanziarie.
Mi tengo, al tempo stesso, le mie perplessità del perché un Paese come il nostro, che vanta ben 1.500 miliardi di euro fermi sui conti correnti, non riesca in prima battuta a far da sé, mobilitando una parte, comunque limitata, del proprio risparmio privato. Se attingessimo prima ai nostri risparmi, questa mossa non ci darebbe più forza anche nei tavoli negoziali in Europa? Forse qualcuno poi mi risponderà e mi aiuterà a fugare le mie perplessità.
Tornando all’economia reale, e mi perdoni direttore la precedente digressione pur dovuta, vorrei focalizzarmi su quello che succederà dopo l’aver fatto provvista nelle sedi e con gli strumenti opportuni. Come andremo cioè a impiegare queste somme? Da professore di finanza d’impresa sono solito sottolineare che la qualità degli impieghi, la vera e concreta attività reale, è di sovente più importante della modalità con cui sono composte le fonti di finanziamento. In sintesi, posso anche sbagliare le modalità con cui finanzio la mia attività, sperando di non sbagliare eccessivamente, ma se poi impiego le mie finanze in progetti fallimentari o scarsamente produttivi, allora discutere come mi sono finanziato perde di significato.
Molti danno per scontato, anzi invocano proprio per tale finalità l’utilizzo del Mes o di altre soluzioni, che i soldi vadano destinati primariamente al settore medico-sanitario, al centro dell’attuale emergenza. È pacifico che il settore della sanità, essendo il fulcro nevralgico dell’emergenza anche nei prossimi mesi, vada adeguatamente rimpolpato di risorse finanziarie. Ciò consentirà di fornire tutte le strutture medico-ospedaliere, e anche le residenze di cura private, di sostanziose dotazioni di presidi medici. Inoltre, le nuove erogazioni saranno linfa per migliorare le infrastrutture di ricovero, con la creazione di nuovi e adeguati spazi per gestire l’eventualità disgraziata di un’ulteriore ondata emergenziale. Altre risorse potranno essere impiegate nella ricerca, in prima istanza proprio per fronteggiare il coronavirus, ma anche per individuare terapie d’avanguardia per le attuali patologie o le future epidemie. In ultimo, una parte delle risorse potrà essere destinata a nuove e sempre più efficienti e moderne dotazioni tecnologiche per le analisi e i trattamenti medici più avanzati.
Sicuramente sono molti i capitoli di spesa del settore medico-sanitario. Aggiungiamoci pure un premio ai medici e a tutto il personale sanitario, per lo straordinario ed eroico lavoro svolto in queste settimane di sacrificio e passione. Pur contando tutto ciò nella lista della spesa, la dimensione delle risorse al centro del dibattito, si parla di circa 36 miliardi per il solo Mes, risulterebbe comunque fin eccessiva per i fabbisogni sopra menzionati. Su 36 miliardi, forse già 15 o 20 potrebbero essere bastevoli. Che fare delle altre risorse, a maggiore ragione se si trattasse di qualche ulteriore decina o centinaia di miliardi di euro?
Ecco direttore che finalmente qui arriva il mio contributo, quello per cui ho sentito la necessità di prendere il calamaio e la penna e di scriverle. Le dico come destinerei l’eccedenza. In via prioritaria, io sarei per destinare il surplus sempre al settore medico-sanitario, ma non per gli interventi che ho dettagliato. Bensì, destinerei queste risorse massicciamente per fare dell’intero settore della salute, comprensivo delle avanguardie delle life sciences, il fulcro dello sviluppo economico della nostra nazione. Per vari ordini di motivi, che ora provo a dettagliarle. I motivi principali sono almeno tre: i progetti innovativi già in essere nel settore italiano della salute, il forte divario tra la domanda di innovazione e l’offerta di innovazione per questo settore, la potenzialità di un disegno strategico di ampio respiro per l’intero sistema economico.
Sul primo punto occorre infatti rilevare che sono già presenti numerosi progetti di straordinario interesse per questo settore in Italia. Pensiamo ad esempio alla riconversione dell’area Expo di Milano, incardinata sul Mind-Milano Innovation District, dove risiederà lo Human Technopole, un centro di ricerca di rilevanza mondiale, nonché la nuova sede dell’Università degli Studi di Milano con le sue facoltà scientifiche ed anche il nuovo ospedale Galeazzi. Una concentrazione di innovazione e competenze nel settore medico-scientifico che potrà scatenare una potenza di fuoco per tutta la filiera medica, ospedaliera, farmaceutica, biotecnologica, nutrizionistica e delle tecnologie sanitarie. Qui di sicuro andrei a concentrare molte delle risorse in eccedenza.
Il secondo punto riguarda un tema di natura più strutturale e, per così dire, universale. È infatti noto agli studiosi dei trend dell’innovazione che il settore della salute sia uno di quelli con più forte domanda di innovazione ma con ancora scarsa offerta di progetti e proposte innovative. Se ad esempio paragoniamo il settore della salute a quello del digitale, ci accorgiamo che il divario è veramente enorme, con il secondo che nell’ultimo decennio ha attratto risorse per svariate centinaia di miliardi, forse trilioni, generando anche iniziative abominevoli, ridondati e alcune “bolle di sapone”. Il settore delle scienze della vita, pur a fronte di una forte richiesta di contributi innovativi per migliorare la qualità di un’umanità sempre più longeva, ha invece segnato il passo, con dotazioni finanziarie ancora ridotte rispetto al suo potenziale. Questa sarebbe una buona occasione per impiegare le risorse al fine di colmare il divario.
Il terzo punto, infine, riguarda una visione di più lunga gettata per l’economia italiana. Se immaginiamo che il mondo torni a essere com’è stato, con processi globali ancora più accelerati, è chiaro che la spinta a una specializzazione del sistema Paese sarà ancora più forte. La nostra nazione dovrà scegliere quindi quale posizione occupare nello scacchiere globale e come posizionare la propria offerta verso i cittadini del mondo. Una scelta lungimirante sarebbe proprio quella di posizionare l’Italia come meta prediletta da tutti, con un clima invidiabile e condizioni di vita superiori alla media, grazie a strutture di accoglienza di alto standard e un sistema eno-gastronomico di assoluta eccellenza. Così, in un contesto unico per qualità della vita, molti vorranno venire qui a stabilire la loro residenza e anche il loro centro d’affari. Potremo attirare non solo turisti occasionali ma residenti di un certo spessore e reddito da ogni dove. Di sicuro, ciò che tutti chiederanno è, non solo clima buono e buon cibo, ma anche una sanità di assoluto livello, con servizi anche in prossimità e strumenti di alta tecnologia. Il settore della salute potrà quindi essere uno dei pilastri del posizionamento strategico dell’intera nazione.
Spero quindi, caro direttore, di averla convinta con queste mie tre dettagliate motivazioni. Se non lo avessi fatto, allora faccia un atto di fiducia e mi dia retta sul ruolo strategico del settore della salute e delle scienze della vita per l’economia italiana. Le risorse finanziarie che dovessero arrivare proprio lì van mes!.