Com’è noto, ieri l’imprenditore milanese Carlo Bonomi è stato designato dal Consiglio generale di Confindustria come nuovo Presidente. La nomina ufficiale avverrà il 20 maggio, quando sarà l’assemblea a ratificare la scelta del consiglio.
Se pensiamo all’investitura dei suoi più recenti predecessori, quella di Bonomi – anche per ragioni meramente contingenti ai nostri tempi – avviene sotto particolari auspici e propositi: per Marcegaglia (2008), Squinzi (2012) e Boccia (2016) l’aspetto delle politiche contrattuali era centrale.
Nel 2008, le imprese erano terrorizzate per le notizie che arrivavano dagli Usa e chiedevano alla neopresidente Marcegaglia di fare come il Governo, che nel 2007 (Prodi) aveva bloccato il rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione. Poi, nel 2009, ci fu l’accordo interconfederale: si trattava del primo accordo separato sul modello contrattuale, la Cgil non lo firmò. Fu proprio per questa ragione che, nel 2012, gli Industriali scelsero un “chimico”: mai, nella sua vita di imprenditore e presidente di associazioni (Federchimica), il compianto Giorgio Squinzi aveva firmato un accordo se non unitario. Eppure… Squinzi, durante il suo mandato, collaborò attivamente col sindacato, ma in quegli anni (2012-2016) non si riuscì ad arrivare a un’intesa sulle politiche contrattuali. Anzi, a gennaio 2015, per via della dinamica inflattiva negativa, saltavano persino i contratti in essere. È stata poi la volta di Boccia (2016) e del patto della fabbrica del 2018, che non ha presentato grandi innovazioni.
Il punto vero è che in questi 12 anni, dal 2008 ai giorni nostri, è cambiato il mondo. Ed era più semplice misurarsi con quel cambiamento al livello dei comparti.
Oggi, ai tempi del covid-19, l’industria e l’impresa più in generale vivono momenti drammatici, così come il lavoro e la vita di tutti noi. Se però guardiamo a ciò che avviene nelle altre economie avanzate – in particolare Usa, Uk e Germania – ci rendiamo facilmente conto che vi è più capacità di fare sistema tra gli attori politici e sociali. E che in momenti come questo, fare sistema è decisivo per dare tenuta e prospettiva alla vita sociale di un Paese.
Sono anni che ne discutiamo, ma oggi è scaduto il tempo per il dibattito: se l’Italia non si dota di un progetto di Paese vivremo anni difficilissimi. Un progetto che metta al centro impresa e lavoro e che abbia una strategia per gli investimenti, il che vuol dire soprattutto agire sulle leve di fisco, burocrazia e giustizia e stimolare lo sviluppo di infrastrutture, anche in senso tecnologico, e della transizione energetica.
Sono esigenze che imprese e sindacato condividono ormai da diverso tempo, non vi sono divisioni su questi punti. Resta il fatto che scrivere un piano di sviluppo è una cosa complicata, soprattutto se vi è quella debolezza del decisore politico che abbiamo visto in questi ultimi anni.
L’Associazione degli Industriali che si prepara a questa sfida scegliendo un uomo del “nord produttivo” punta su un imprenditore che dall’inizio del suo mandato da Presidente della Confindustria milanese è stato in questi anni una delle voci più limpide e temerarie a sostegno dello sviluppo economico.
Ne abbiamo bisogno. Perché, l’Italia deve ripartire. Ma per ripartire, l’Italia ha bisogno dell’impresa.
Twitter: @sabella_thinkin