Nel Paese dei Protocolli bastava dare un ordine e tutti lo eseguivano: alti e bassi, giovani e vecchi, sani e malati. Ma era un Paese che esisteva solo nella mente dei burocrati, che si credono di avere a che fare con cittadini-fotocopie tutti uguali. Invece – per esempio nei protocolli della quarantena – sbucano le eccezioni; che in questo caso si chiamano “bambini”, e i bambini non sono piccoli adulti; magari qualcuno pensa che se a un adulto basta una camera per vivere l’isolamento, a un bambino basta una cameretta. Invece no! Anzi è il contrario, perché le esigenze sono galatticamente diverse.
I bambini sono fragili: chiusi in case sono più soggetti ai rischi di inquinanti e allergeni domestici. Sono fragili, perché se gli metti in mano un videogioco non sanno fermarsi e gli diventa una droga. Sono fragili, perché hanno bisogno del sole che è la prima fonte per far crescere bene le ossa. Sono fragili. Perché se sono malati hanno bisogno di assistenza domiciliare e in questo periodo quante difficoltà hanno per avere assistenza a casa loro per cambiare cateteri, medicazioni, fare iniezioni o fisioterapia? Per non parlare dei bambini con autismo o disagio psichico che chiedono di uscire disperatamente. O dei bambini che hanno bisogno di insegnante di sostegno e in questi giorni non possono seguire le lezioni come fanno gli altri, non possono giocare con gli altri.
I bambini sono fragili, non sono piccoli adulti. Il Paese dei Protocolli vuole dare gli stessi diritti e doveri a tutti. Ma i bambini non sono “tutti” e non gli servono gli stessi diritti degli adulti! Ai bambini fa male la segregazione, il sentire sempre parlare di morti, vedere i genitori preoccupati per la salute o per il lavoro, qualche volta ammalati e ricoverati senza poterli incontrare, non sapere quando tutto questo finirà. Gli nuoce in maniera diversa dagli adulti, li segna in modo invisibile, ma se ne vedranno le conseguenze tra 20 anni.
Certo che questo periodo può essere un’opportunità positiva, ma richiederebbe un impegno dei genitori che loro non sanno darsi. Diseducati, non allenati a leggere stupore e paura negli occhi dei figli, generazioni sono cresciute disimparando una dopo l’altra a fare i genitori; figli di un sistema che per loro pretende una gioventù procrastinata fino alla pensione, orfani di educazione alla responsabilità e al sacrificio. Ora dovrebbero essere disponibili, rilassati e rilassanti come non lo sono mai stati prima. Ma diciamolo: quanti genitori di solito passano tempo con i figli e quanti invece (non solo per colpa loro) li piazzano davanti alla tv o li mollano nella cameretta a ore e ore di social senza controllo? E ora dovrebbe andare meglio?
Stato e famiglie non sono fatti per le emergenze: sanno navigare a vista e quando l’emergenza colpisce i bambini brancolano, dato che la società non è più a dimensione di bambino, ma solo a dimensione di adulto giovane-single-immaturo. Una società in cui i bambini sono degli ospiti; in cui non si fanno piani a lungo termine per rendere loro vivibili case e quartieri; in cui la televisione scopiazza, non appassiona, non gli offre cultura e in cui i ragazzi sono schiavi dei telefonini… cosa dovrebbe generare? E pensate di cavarvela con iniziative estemporanee, spot di cartoni animati per far lavare le mani ai piccoli e nel migliore dei casi una mezz’ora passata dai genitori per fare qualcosa in cucina insieme? Ma se nemmeno mamma e papà cucinano più oggi oltre a due spaghetti e l’uovo al tegamino perché tutto lo comprano già fatto…
In questo periodo nero, anche l’architettura nei suoi principali esponenti – vedi quanto scrivono Renzo Piano e Piero Lissoni – vuole riscrivere regole e spazi dopo aver visto l’urbanistica creare case e quartieri pensati solo per adulti e solo per dormirci e mangiare frettolosamente: la quarantena e il distanziamento obbligano a ripensare anche gli spazi e le dimensioni da rivedere e personalizzare. Ma va anche rivista la famiglia che nelle case abita: nei decenni si è andata sfilacciando e fantasmizzando e ora, chiamata in prima linea, mostra di essere incapace di rispondere ai bisogni, in primis dei più piccoli.
Per finire, notiamolo, e stupiamoci: i giovani non si ribellano alla quarantena. Bene, perché se si ribellassero sarebbe un disastro; ma strano, perché il giovane è per natura ribellione, contestazione, stravaganza; invece stanno tutti alle regole. Lontani per obbligo dai divertimenti di discoteca, sesso, sport eccetera, per i giornali “sono più disciplinati degli adulti”.
Strano: tutti impauriti? Ma no: il giovane non ha idea di cosa sia la paura della morte, corrono veloci in macchina, fanno stravaganze pericolose proprio perché giovani e dissennati (colpa della corteccia prefrontale del cervello ancora non formata). Allora perché tanta disciplina? Semplice e terribile risposta: la forza dei mass media sui minori. E’ così elevata – e in questo caso (fortunatamente) univoca – che forgia le volontà e le menti. Nei confronti di lotta al fumo, alla droga eccetera i messaggi non sono così forti, anzi – siamo sinceri – sono ambigui; sulla quarantena tutti dicono la stessa cosa e se, per un verso, ne siamo contenti perché l’esito è buono, dall’altro siamo atterriti, perché finalmente capiamo che alla fine tutti, anche i ribelli in blue jeans, fanno sempre quello che i mass media decidono per loro. Quando vogliono che si parli di clima sono tutti meteorologi, quando vogliono che si parli di barca a vela sono tutti skipper. Quando il tema è l’epidemia, tutti sono di colpo epidemiologi e si chiudono disciplinati in casa.
Allora nel Paese dei Protocolli ameremmo che il mondo tornasse a essere più a misura di bambini, che meritano delle garanzie speciali per non stravolgerne la vita presente e futura. E che la forza dei mass media – così utile questa volta – venisse misurata, calibrata e arginata per le mille occasioni future in cui sarà tentata di penetrare come un bisturi ben affilato nel cervello nostro e dei nostri figli.