La Süddeutsche Zeitung titolava in prima pagina il 17 aprile 2020: “Wenn alles stillsteht”, ovvero “Quando tutto si ferma”, ma in verità chi leggeva l’articolo nella sua interezza e poi soprattutto l’editoriale non firmato e intitolato “Das Streiflicht” (Il Faro) comprendeva subito che non solo la Germania non si era mai fermata, ma ciò che si riteneva si stesse per fermare, per bloccarsi in una fitta serie di ruote che non s’incastravano più come avrebbero dovuto, era l’Europa. l’Europa persa nei meandri delle sue sempre più complicate regole e procedure, sempre indecisa sulla strada da intraprendere. Il Faro che dovrebbe illuminare la via (“Das Streiflicht”) getta invece la sua luce su quello che è oggi l’Europa: “un guazzabuglio”, “una serie di geroglifici” o, per dirla in termini diplomatici, “un mosaico” così complicato da far perdere la testa: “Ein Flickenteppich”, appunto, “un tappeto con i buchi”.
Un altro segno debole di quel sommovimento lento, ma io credo inarrestabile, che sta scuotendo nel profondo il tessuto socio–politico tedesco. Tra pochi mesi la Germania assumerà la presidenza di turno dell’Ue e non potrebbe farlo in un momento più delicato. Non solo per la pandemia, che costringe anche gli ordoliberisti tedeschi e quindi anche il presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble, a dimostrarsi accondiscendente con i più deboli Stati europei e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen protesa a chiedere scusa all’Italia. Certo, pochi anni or sono, si chiese, da quei pulpiti luterani, scusa alla Grecia e ne seguì la più terribile delle offese che si siano mai compiute dinanzi alla stessa civilizzazione europea.
Il volto demoniaco della storia tedesca, anseatica e dei Pays Plat, si sta forse scatenando? Accade quando la Germania è posta dinanzi a scelte che mettono in gioco la sua stessa duplice essenza, culturale prima che geopolitica ed economica. Mi vengono alla mente gli insegnamenti che Massimo Salvadori mi donava nelle arcigne aule di palazzo Campana a Torino, nel finire degli anni Sessanta, la sera quando mi apprestavo sempre a ritornare a Ivrea per lavorare. La storia tedesca è sempre stata quella dialettica che, quando meno ce lo si attende, si dipana. Quella che magistralmente hanno rappresentato i maestri più profondi e oggi dimenticati della cultura tedesca che tanto servirebbe leggere o rileggere, tanto all’Europa tutta, quanto ai tedeschi medesimi, in primis alle loro classi e ceti dominati.
Mi riferisco a Paul Tillich, con la sua riflessione su Il demoniaco. Contributo a un’interpretazione del senso della storia, che apparve nel 1926 e costituì un punto di riferimento non solo per Gerhard Ritter, il quale basò su di esso il suo capolavoro Il volto demoniaco del potere, ma anche per Thomas Mann, il quale ne trasse idee fondamentali per il suo Doktor Faustus, mentre Horkheimer e Adorno lo ripresero a piene mani nella Dialettica dell’illuminismo. Per Tillich il demoniaco non è l’espressione simbolica della pura negatività, ma il carattere ambivalente e sinistro di ogni creazione dello spirito umano; e nella storia tedesca questa tensione si esprime più che in ogni altra realizzazione storica del divenire dell’umanità. Lo fa in Germania per la sua stessa natura culturale e geopolitica, così rinserrata in una terra che non può non voler ciclicamente dominare.
Gerhard Ritter, geniale storico e anti–nazista tedesco e grande biografo di quell’Heinrich Friedrich Karl von Stein che rinnovò radicalmente le strutture dello Stato prussiano, è colui che più di tutti oggi bisogna leggere o rileggere, di nuovo, per comprendere ciò che sta accadendo nella storia e nella stessa vita pubblica tedesca. La Germania potrebbe dilaniarsi tra le sue diverse radici storiche con la conseguenza politica più immediata di veder cambiare la stessa coalizione di governo, con il tramonto dell’era della grande coalizione per aprirne una dominata dall’alleanza tra una socialdemocrazia che sta via via scoprendo la follia delle ricette ordoliberiste e i verdi, che stanno scoprendo le loro radici non solo liberali e liberiste, ma anche di sinistra storicamente intesa (si pensi a Joschka Fischer) e infine la Linke, la sola che può essere alternativa vera alla crescita della destra ultraconservatrice nella Germania Est.
Un nuovo ciclo della storia tedesca, un ciclo non più “demoniaco” come l’attuale, forse sta aprendosi o potrebbe iniziare. Questo è importante più che mai oggi, quando il livello della classe politica europea a partire dalla sua cuspide è disastroso: basta pensare alle gaffe del presidente del Consiglio europeo Michel a Zagabria o ad Addis Abeba, al bassissimo livello della presidente Ursula, che ben si accomuna alla signora Lagarde che lascia tutti sconcertati per incompetenza e ignoranza globale.
La Merkel rischia di presiedere un’Unione sull’orlo di una crisi di direzione simile a quella che si è già abbattuta sulla nostra Italia sottoposta a un dominio extracostituzionale non solo di origine europea – come ci spiga da tempo Alessandro Mangia –, ma anche nel seno stesso del nostro albero costituzionale, sfigurato da comitati, task force di illustri signori e signore che spesso non si muovono dalle nazioni in cui risiedono e pensano di poter contribuire a cambiare il corso di una crisi pandemica rimanendo velati dalle conference call, mentre il Parlamento è di fatto umiliato dai Dpcm, un processo assai simile a quello che caratterizzò l’Argentina peronista degli ultimi anni del Novecento. La crisi argentina ai tempi dei coniugi Kirchner, che precipitarono una delle nazioni più ricche al mondo di cultura, scienza e coraggio, in un baratro che non è terminato neppure oggi, dopo anni di tormento.
Nessuno auspica una cosa di questo genere. Il disordine è il nemico vero di ogni costrutto sociale. Ma ciò che sta accadendo in Italia – con l’attacco politico e giudiziario, di natura politica e indiscutibilmente favorito anche da strutture para–governative, mosso contro la burocrazia regionale lombarda – è veramente disastroso per il Paese intero che ha invece bisogno di unità di comando e di intenti. La Regione economica che con il Veneto e l’Emilia-Romagna è il retroterra storico della Baviera e dell’Hinterland asburgico dell’Italia è invece identificata e colpita come punto archetipale del potere di opposizione dei ribelli all’ordoliberismo: è una vicenda veramente diabolica, pari a quella che colpì la storia tedesca e che ancora imprigiona tutti: tedeschi, europei e italiani.
Come ha ricordato su queste pagine con molta serietà e sovrana calma Giorgio Vittadini, continuare in questo gioco vuol dire un massacro che si rivolgerà contro gli italiani più deboli e soli in primis. Proprio mentre in Germania stanno cambiando molti orientamenti all’azione nella consapevolezza che una crisi irreversibile dell’Italia e della Spagna significherebbe e significa di già la crisi irreversibile anche della Germania. Crisi che non potrà che colpire anche la Francia, con un effetto domino sulla stessa Europa come identità storica e morale.
Un gioco troppo pericoloso perché non si intervenga autorevolmente sperando di poter essere ancora ascoltati.