L’Europa vuole aprire (per gradi). Sono giorni di dichiarazioni sulla pandemia da coronavirus, con Macron e Merkel in prima fila. Francia e Germania pensano anche di riaprire le scuole ai primi di maggio. Dichiarazioni pesanti, alla Trump (il quale però si ritrova Stato di New York e California bloccati fino a metà maggio), che hanno allarmato l’Oms. Subito l’Organizzazione mondiale della sanità ha gelato l’entusiasmo: in Europa siamo nell’occhio del ciclone, con quasi i 100mila decessi la fase 2 è prematura. I numeri hanno messo nei guai la Gran Bretagna (che ha allungato il contenimento di tre settimane) e la Spagna (che di fatto ha decretato la chiusura dell’anno scolastico). Proprio la scuola è invece ripartita in Danimarca, mentre in Svezia l’epidemia esplode tra contagi, decessi e polemiche, che a Stoccolma scaricano sull’Italia.
“Abbiamo notato che negli ultimi giorni si è generata una spirale di disinformazione su media autorevoli in Italia. Ad esempio, un’intervista del primo ministro Stefan Löfven alla televisione svedese è stata estrapolata dal suo contesto e citata in maniera non corretta”, si legge in un lungo post pubblicato mercoledì sulla pagina Facebook dell’Ambasciata di Svezia in Italia. Agli svedesi non è andata giù la frase: “Non abbiamo fatto abbastanza”, finita sui giornali di tutto il mondo. La Svezia è il paese che detiene il più basso numero di letti in terapia intensiva d’Europa. Nel Paese i contagi, secondo i dati elaborati dalla Johns Hopkins University, al 16 aprile sono oltre 12.500 e i decessi oltre 1.300, ma la Svezia attacca solo l’Italia, ormai quasi una moda per il nord Europa ancora scottato dal “no” (per ora) di Giuseppe Conte al Mes.
In Germania invece, dove si ostenta normalità, a Duisburg è arrivato un treno da Wuhan, certificando di fatto una sempre più stretta collaborazione sino-cinese. La Germania ha rapporti molto stretti con Pechino; anche nei numeri dell’epidemia, vien da dire. Sempre con le dovute proporzioni, i numeri tedeschi ricordano le curve cinesi (dati che in Usa giudicano ormai alterati, ma su cui l’Oms non cambia idea, facendo infuriare Trump che minaccia di tagliare i fondi).
Berlino sui numeri ha adottato parametri propri, puntando innanzitutto sull’alto numero dei tamponi a cui si aggiunge anche lo smaliziato utilizzo della classificazione dei decessi. “Noi un ammalato che è morto per infarto se aveva il coronavirus lo classifichiamo come deceduto per Covid-19, come facciamo sempre anche quando la causa principale di morte è un’altra. I tedeschi questo non lo fanno”, ha detto Giuliano Rizzardini, responsabile malattie infettive 1 all’Ospedale Luigi Sacco di Milano, intervistato dal Tg3 il 31 marzo. Un parametro “ereditato” dalla Cina e che ha portato la Merkel a tenere in conferenza stampa una “lectio magistralis” di matematica del contagio (parlando di fase 2 in piena sicurezza) ma omettendo il ricalcolo più importante, quello sui decessi, oltre a tutta la fase iniziale dell’esplosione dell’epidemia in Europa che ha visto Berlino non trasparente ma che ora ne fa la capitale dello Stato “più efficiente d’Europa”.
Ma se la Germania ha le sue strategie, mezza Europa pare invece legata al cappio dei numeri. Non ride la Francia, che si trova perfino la propria portaerei nucleare con più del 50% dell’equipaggio positivo, uno smacco per le forze armate francesi, oltre ad un Macron che dichiara aperture a maggio, ma che in 24 ore deve incassare numeri gravi tra contagi e decessi.
Stesso discorso per la Spagna, che dopo aver dichiarato di aprire (attenzione, si parla di attività strategiche, alcune in Italia mai chiuse) si ritrova un boom di contagi e decessi elevato, tanto da dichiarare l’anno scolastico concluso con tutti promossi.
In mezzo c’è l’Italia, che calcola con parametri pre-ricalcolo cinese i propri contagi e decessi e paga una dazio (per ora) d’immagine (anche se l’ Europa è indietro temporalmente) con turbolenze nefaste per l’opinione pubblica, a cui spesso viene presentato un piatto velenoso in cui l’erba dei vicini è solo apparentemente più verde. Il solito gioco mediatico di cui il nostro paese paga per primo i danni, con una mirabile capacità di autolesionismo che penalizza la nostra reputazione internazionale e favorisce messaggi fuorvianti, nonostante la situazione complessiva dell’epidemia sia più positiva – anche se la Lombardia e Milano non sono ancora fuori dal tunnel.