CORONAVIRUS USA/ riapertura, liquidità, test: è caos tra Stati e Trump
C’è un cambiamento in atto da parte del governo americano che sta reagendo alla gravissima crisi economica provocata dalla pandemia del coronavirus in modo diverso che nel passato, ci ha spiegato Andrew Spannaus, giornalista e analista americano attivo in Italia e a livello internazionale, fondatore di Transatlantico.info. Un cambiamento che vede un intervento massiccio della Federal Reserve. “La crisi è pesante e sottolinea dei problemi strutturali di precarietà e di mancanza di rete sociale. Sono ottimista che il governo stia abbandonando certi concetti sbagliati, reagisce in modo relativamente veloce ma l’intervento va consolidato” dice Spannaus.
Donald Trump, dopo aver avocato a sé ogni decisione di riapertura delle attività americane, con il documento “Opening Up America Again” ha lasciato ai governatori di ogni singolo Stato la libertà di decidere quando farlo. Come commenta?
Trump ha grande fretta di riaprire il paese, però ricordiamo che lui non lo ha chiuso e non lo può riaprire.
In che senso?
Il governo federale ha dato le linee guida per chiudere: in America non si agisce per decreti governativi come succede in Italia. Il governo federale non ha dato ordini obbligatori, lo hanno fatto i governatori per ogni singolo Stato. A un certo punto Trump ha cominciato a spingere per la riapertura delle attività economiche cercando di avocare a sé dei poteri che non ha. Lo ha capito e sta lasciando ai governatori di farlo loro, come prevede la legge. Nei suoi discorsi pubblici sta comunque spingendo fortemente perché ci sia una riapertura almeno parziale.
Il documento varato prevede tre fasi, la prima delle quali chiede siano fatti test ed esami i più completi possibili alla popolazione. Joe Biden contesta che gli Stati Uniti non sono in grado di condurre più esami. È così?
È un argomento di forte contesa. Sicuramente ci sono grossi problemi a fare i test necessari. Sia il governo federale che i singoli Stati stanno lavorando per aumentare la capacità, ma ognuno dice cose diverse per quanto riguarda le disponibilità. Credo però che la mancanza di materiale per i test sia reale. Il governatore del Maryland ad esempio si è fatto spedire direttamente dalla Corea del Sud i kit per fare i test. Per riaprire occorre certamente fare più test o tracciare i casi, secondo alcuni studi almeno il triplo dei test attuali che sono 150mila al giorno. I test random fatti in California e in Massachusetts hanno rilevato una percentuale significativa di persone positive. Occorre fare più test, prima di passare alla riapertura.
Dall’inizio della pandemia 22 milioni di persone hanno fatto richiesta del sussidio di disoccupazione. È vero? Che genere di lavoratori sono?
È un numero che corrisponde alla realtà. Negli Usa la maggior parte della forza lavoro non ha un contratto a tempo indeterminato, viene pagata a ore. È facile lasciarle a casa quando c’è crisi, ne soffre chi lavora ad esempio nei negozi o nei ristoranti.
Come si sta muovendo il governo americano nei loro confronti?
Il governo sta cercando di garantire la liquidità alle imprese. Il terzo pacchetto approvato dal Congresso, quello da 2,2 trilioni di dollari, conteneva 350 miliardi – ormai già utilizzati – da dare alle imprese fino a 500 dipendenti se queste non licenziano i lavoratori. Non devi cioè ripagare il prestito se mantieni l’occupazione. Si sta per aggiungere altri 300 miliardi ma il fabbisogno è alto. Per dare un’idea delle dimensioni dei sussidi per i disoccupati, l’Italia ha concesso 3,3 miliardi per la cassa integrazione, in America 250 miliardi. C’è bisogno di altri soldi, ma il governo federale ne sta mettendo su scala molto grande.
Ci si muove quindi in modo positivo, è così?
Stiamo assistendo a due cambiamenti importanti. Non sono sufficienti ma vanno nella direzione giusta, contro la mentalità contabile del pareggio di bilancio.
Ci spieghi.
La Fed sta prestando soldi direttamente alle imprese produttive, cosa che non aveva mai fatto prima, invece di dare i soldi solo alle banche e poi sperare che li diano alle imprese, con tutti i limiti che conosciamo. E c’è un altro aspetto che riduce il suo ruolo di banca centrale indipendente: il governo compra vari tipi di titoli sul mercato per sostenere società e anche enti locali, e poi la Fed segue le indicazioni governative, aumentando la liquidità disponibile per le stesse operazioni con un effetto leva. Questo è un cambiamento importante rispetto al solito modo di intervenire, alcuni la definiscono una sorta di nazionalizzazione della banca centrale.
Si parla di crisi più grande dai tempi della Grande depressione. Lei è ottimista?
La crisi è pesante e sottolinea dei problemi strutturali di precarietà e di mancanza di rete sociale. Sono ottimista che il governo stia abbandonando certi concetti sbagliati, reagisce in modo relativamente veloce ma l’intervento va consolidato.