L’ora (no-partisan) della ripartenza

Ci si prepara all'inizio effettivo della fase 2, molto importante per l'economia italiana e di fatto anche per i suoi conti pubblici

Dal 4 maggio, dunque, l’Italia comincerà a ripartire. È una buona notizia. Come non si stanca di ripetere una voce come quella di Carlo Cottarelli – esperta e non certo sospettabile di partigianerie – l’Italia ha bisogno di ricominciare a produrre. E gli italiani – dopo settimane di quarantena forzata – vogliono riprendere a lavorare. 



Nessun reddito può essere distribuito se non viene prodotto (e senza Pil non può esserci neppure gettito fiscale per sostenere la spesa pubblica). Anche il potere d’acquisto che un governo come quello italiano sta immettendo nell’economia come sostegno d’emergenza alle famiglie e stimolo alle imprese dopo la lunga quarantena è una pura leva finanziaria: non può soddisfare in sé a medio termine la domanda di beni e servizi, la maggior parte dei quali non possono che essere offerti sul mercato da imprese funzionanti. E fra le imprese italiane chiuse da un mese – val la pena di ricordarlo – vi sono anche anelli importanti di catene produttive internazionali: come ad esempio quella che rifornisce l’industria dell’auto tedesca, tornata in piena attività lunedì. Perdere posizioni duramente conquistate nella competizione globale dell’industria tecnologica può infliggere danni strutturali all’Azienda-Italia, seconda manifattura europea e grande esportatrice.



Dopo un lungo lockdown, tutte le imprese nazionali – di ogni dimensione e settore – sono in estesa sofferenza e per la sopravvivenza stessa di molte di esse è assai più importante poter riaprire che poter contare su farraginose linee di credito d’emergenza. Se poi l’Ue deciderà domani – come atteso – di accordare anche all’Italia finanziamenti straordinari per contrastare il contraccolpo recessivo da coronavirus, gli ulteriori squilibri finanziari saranno comunque registrati dai parametri Ue: attualmente sospesi ma non cancellati. Il rapporto debito/Pil per l’Italia è stimato in balzo fino ad almeno quota 180% (tre volte il valore considerato “normale”) e non potrà essere mantenuto all’infinito. Il primo e principale modo per riabbassare in fretta la febbre nei conti pubblici – e restare nell’eurozona – sarà far ripartire il Pil: peraltro mai veramente tornato su livelli usual dopo il 2008.



Per tutte queste ragioni – rigorosamente no partisan – l’Azienda-Italia deve e vuole ripartire. E se il governo ha fatto bene a dare un segnale inequivocabile, altrettanto trasparente e importante è stata l’indicazione riguardante la gradualità e la prudenza dell’avvio della Fase 2. Le sfide della salute pubblica e della sicurezza sul posto di lavoro non dovranno essere accessorie o secondarie. Al contrario: si può invece prevedere che la Fase 2 potrà procedere con passo più sicuro e rapido quanto più la sfida economica, quella sociale e quella istituzionale sapranno integrarsi: se, ad esempio,  problemi come il ridisegno della mobilità urbana e lo stesso tracciamento digitale degli spostamenti non saranno affrontati in chiave di “costo/vincolo”, ma di investimento a lungo termine sulla sostenibilità metropolitana o sulla prevenzione di nuovi rischi epidemici. Ma è su questo che il governo ha opportunamente chiamato Vittorio Colao a guidare una Task Force per la Riapertura e la Ricostruzione.



Il suggerimento è giunto del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella:  che fin dall’inizio drammatico della Fase 1 non perde occasione per richiamare le forze politiche all’unità nazionale. E la Fase 2 –  i cui protagonisti saranno tutto coloro che lavorano nelle imprese – sembra l’occasione ideale quanto meno per replicare quella già testimoniata da medici e infermieri di tutt’Italia.        

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