Ogni volta che sentiamo il tempo che attraversa il presente e si avvia al futuro ci ricordiamo di quanto sia stato quello perso: un momento che è passato e diviene perduto per sempre ha in sé la malinconia per ciò di buono che aveva. Come perdute sono le speranze nelle ore più buie o gli oggetti che ci lasciano per sempre e che vivono a volte nella memoria dei tempi andati. Perduto è un concetto definitivo. Come lo era il Paradiso di Milton, qualcosa che non torna e che lascia però una traccia interiore, un segno indelebile che riporta alla mente le cose buone che non torneranno. Ciò che è andato perduto lo si ricorda per quel che ci ha lasciato, anche se ora non c’è più. Non è volgarmente perso, ma ha lasciato una scia, una traccia ed in definitiva un senso di utilità che la sua mancanza testimonia.
Spesso le parole semplici non hanno molta attinenza con il gergo tecnico dell’economia, ma in questi giorni tutti hanno chiaro in mente che la vera differenza tra le speranze di rinascita del Paese e un inesorabile scivolo verso il fondo dei Paesi industrializzati la farà una parola. Se il fondo di recupero (Recovery Fund) da varare in Europa sarà perduto o meno. Se, in sostanza, è qualcosa che potremo guardare con nostalgia tra anni come un intervento che ha lasciato il segno nei ricordi o rimarrà un incubo attuale anche per le generazioni a venire, perché si sarà solo momentaneamente perso nella memoria ma resterà attuale nel dovere di restituirlo.
Il fondo perduto, da che esiste, ha avuto nelle politiche economiche detrattori e ammiratori. Molti rammentano il fondo perduto della Cassa del Mezzogiorno, la regina del fondo perduto, come un’epoca di sperperi indicibili. Altri invece, senza negarne i limiti, la accumunano ad un periodo di crescita dell’economia del Mezzogiorno che, grazie a quella stagione, riuscì a ridurre i divari ed a costruire un’ipotesi di riallineamento tra aree diverse del Paese.
Ora pare che tutte le accezioni negative si siano sotterrate da sole di fronte al coro unanime di consensi che l’ipotesi di un fondo perduto europeo suscita.
Tutti vogliono insistentemente aggredire la crisi che verrà con uno strumento semplice e che pare l’unico efficace. Distribuire denari senza obbligo di restituzione agli Stati e agli attori dell’economia reale, per consentire ai sistemi economici di rimanere in equilibrio.
Sembra che si siano assopiti, per non dire zittiti, tutti quelli che, a fronte delle richieste di questi anni di dosi di investimento massicce per il Mezzogiorno con le forme del fondo perduto, storcevano il naso e addirittura inveivano contro i ladroni dietro l’angolo. Un po’ come alcuni in Olanda o in Germania oggi quando parlano del nostro Paese.
Lo strumento in sé, si sosteneva non senza fondamento, attira sciacalli di ogni risma e non si può, si diceva, affidare ad una classe politica incapace di cavarsi dagli impicci da sola tutti quei soldi. Anzi, il popolo del Mezzogiorno si è rovinato per le sue deficienze, si diceva, ed il fondo perduto a cui dovrebbe contribuire un pezzo di Paese sarebbe una ingiusta mortificazione per gli operosi e diligenti che, proprio non si comprende perché, dovrebbero accollarsi uno scialacquo di risorse prelevate dalle capacità altrui. A nulla valeva raccontare dei gap infrastrutturali, della pervasiva presenza della criminalità organizzata o della tragedia incolpevole dello scempio ambientale subìto. Se tutti quei tragici morbi affliggono quel popolo, in fondo si argomentava, sarà stata anche colpa loro.
Ora che il morbo vero, inflessibile, tremendamente mortifero e distruttivo affligge la vita incolpevole di tanti italiani e europei, ora che la sofferenza ed il disagio hanno invaso le corti del Paese senza limiti di latitudine, ora che la sofferenza per le perdite ingiuste mista alla “impossibilità di farcela da soli”, come ammoniva il grande filosofo e compianto Aldo Masullo, ci fanno comprendere quanto il benessere nostro dipenda da quello degli altri, appare chiaro che un modo efficiente per superare una crisi strutturale di decrescita economica imminente è quello di iniettare risorse in iniziative pubbliche e private, senza che le stesse rappresentino un debito ma solo una mera posta di investimento finanziata senza obblighi.
Questo stiamo spiegando agli europei, anche se non siamo stati capaci di comprenderlo nel nostro Paese.
Solo ora appare evidente a tanti convertiti che il fondo perduto è uno strumento efficace nel dare una spinta propulsiva iniziale nei periodi di crisi, sostenendo gli investimenti nel mentre i consumi languono; un dato di fatto oggettivo ma volte strumentalmente negato.
Ed è qui che inizia la sfida vera, che intere generazioni nel Mezzogiorno non hanno potuto cogliere, ovvero su come usare quei fondi e a cosa destinarli.
Può essere utile rammentare che la Cassa del Mezzogiorno consentì, secondo alcuni studi, di realizzare 16mila chilometri di collegamenti stradali, 23mila chilometri di acquedotti, 40mila chilometri di reti elettriche, 1.600 scuole, 160 ospedali. Dando una vita migliore di quella precedente a tanti.
Certo ci sono state le cattedrali nel deserto, i capannoni della famigerata legge 488 (ultima delle leggi col fondo perduto di fine anni novanta) e molte appropriazioni indebite della politica e dell’imprenditoria predatoria. Ma quella stagione rese comunque il Mezzogiorno più moderno.
Se sapremo utilizzare il fondo perduto che ci attende come Paese in maniera intelligente, lottando contro la corruzione e la burocrazia e con una vera prospettiva di ristrutturazione industriale e produttiva della società italiana, avremo forse l’occasione di spazzare via la stagnazione che ci ha afflitto per decenni e rimettere il Paese su di un sentiero della crescita che renderà il debito pubblico, in esplosione nei prossimi mesi, meno pesante. Ed avremo anche sdoganato l’idea che un pezzo di Paese è stato colpevolmente messo da parte troppo a lungo.
Il Mezzogiorno ha chiesto da due decenni interventi strutturali a “fondo perduto” per uscire da un crisi devastante che lo la spopolato e reso più fragile, oggi che tutto il Paese chiede la medesima ricetta, dovremo ricordarci che questa occasione spetta a tutto il Paese secondo regole di spesa precise (con il 34% destinato al Mezzogiorno) di modo che, con la Cassa per l’Europa, il Mezzogiorno sia protagonista per dare il suo contributo al Paese.
Affinché il tempo perso non resti vanamente perduto.