Per far che tutto il valore della domanda aggregata possa manifestarsi compiutamente, i consumatori impiegano risorse scarse: il tempo, l’attenzione, l’ottimismo, il denaro. Un concorso individuale, insomma, alla produttività generale che non ha eguali! Concorso che verrà depotenziato dalla diversa propensione al consumo dei singoli; frutto del diverso remunero, messo in tasca, dai “fattori” che operano nella produzione.
Bene, per cotanta inefficienza un quesito, prodromo al dopo lockdown, rimbomba: quale economia di mercato potrà permettersi ancora il lusso, in sede di trasferimento della ricchezza generata dalla spesa, di remunerare i fattori che hanno concorso a crearla, escludendo chi l’abbia de facto generata?
Di dare risposta compiuta al rimbombo dovrà farsi carico la comunità internazionale; quella che, abbeverandosi con precetti scaduti, ha fin qui tirato a campare. Dovrà, appunto, darsi da fare per far sì che quell’economia di mercato, che in altri tempi ha mostrato di esser in grado di generare il massimo della ricchezza e nelle forme acconce distribuirla, torni a fare al meglio quel che sa fare.
Se l’indifferibile “fattore consumo” per la continuità del ciclo attribuisce valore a una domanda scarsa, occorre poterne stimarne il prezzo, chi poi dovrà intascarlo, come e chi dovrà pagarlo. Già, se prima, nell’Economia della produzione, si lavorava per guadagnare, nell’Economia dei consumi deve trovare ristoro l’esercizio di consumazione per avere a sufficienza da spendere; un reddito di scopo, insomma, che integri l’insufficienza di quello incassato con il produrre!
Beh, se tanto può dar tanto, la politica può/deve attrezzare l’ambiente normativo per un’economia capace di resistere oltre alle congiunture che la scrollano, anche a quei cigni neri dei giorni d’oggi.
La cornice nell’Ue c’è. L’art 3, par. 3, del Trattato sull’Unione europea, ha stabilito la costruzione del mercato interno basata su una crescita economica equilibrata, sulla stabilità dei prezzi e «su una economia sociale di mercato fortemente competitiva». Principi generali, insomma, che possono servire da sponda per ancorare la norma su “l’economia resistente”. Norma già da tempo necessaria per fornire sprone all’Impresa nel dar corso a una riconversione delle strutture che la organizzano, per aderire compiutamente al “nuovo” dell’Economia dei consumi e che nel mondo, dopo l’oggi pandemico, si renderà non più procrastinabile.
Giust’appunto per non procrastinare si rende spendibile, dentro i Parlamenti nazionali, la proposta di legge per disporre di un mercato efficiente che sappia fare al meglio il prezzo; che disponga di allocare le risorse economiche generate dalla crescita per tenere adeguato quel potere d’acquisto che consenta l’esercizio di ruolo dei diversi operatori della spesa aggregata. L’adozione della norma renderà, de facto, appetita la costituzione di quell’Azienda “Libero Mercato Spa” che capitalizzi onori e oneri e, in punta di diritto societario, “offra a tutte le persone la possibilità di contribuire all’attività economica e di condividerne i benefici” per far sì che, quanto auspicato dal Fmi, possa venir fatto.
Un’ azienda pro-crescita che agisca per tenere in equilibrio produzione e consumo, impiegando al meglio le risorse produttive degli addetti e l’adeguata allocazione delle risorse di reddito per sostenere la crescita e generare ricchezza. Agenti economici vi agiscono con ruoli integrati per la produzione dell’offerta, la generazione della domanda, del commercio e dell’acquisto, fornendo distinto contributo a quella spesa aggregata che fa la crescita. Il remunero degli operatori, che compensa quel diverso contributo, andrà speso nel “circuito aziendale” per rendere fluido e continuo il ciclo produttivo.
Giust’appunto un marchingegno societario che disponga l’adeguata capitalizzazione degli azionisti mediante una diversa allocazione della ricchezza colà generata (il modo, insomma, per poter eliminare quella fattispecie di “reato economico” che si scorge quando non viene limitata la differenza, nella propensione al consumo, tra chi dispone meno di quel che deve spendere e chi ha più di quel che spende, rendendo inefficiente il contributo dei diversi operatori della spesa alla generazione della ricchezza). La politica, per caldeggiarne l’istituzione, dovrà farsi carico di attrezzare “norme di vantaggio fiscale” che ne rendano conveniente l’adozione. Norme affinché il mercato, quando non impallato dai meccanismi reflativi, sia in grado di poter fare il miglior prezzo tra le parti in causa remunerando la produttività di ciascun agente per migliorare la produttività del tutto.
Ci sono imprese che già lo fanno; hanno attrezzato business pro-crescita che consentono di far profitto quando, con l’acquisto delle loro merci, i consumatori rifocillano il potere d’acquisto. Funziona: aumentano la produttività d’esercizio “associando” quella implicita all’esercizio di consumazione; la fidelizzano, attraverso il remunero delle risorse scarse impiegate nel fare la spesa incassandone infine un vantaggio competitivo.
Per far sì che l’appetito per le altre aziende venga mangiando, s’ha da tornare pure a metter mano agli attrezzi del mestiere della politica: la leva fiscale per re-distribuire vantaggio agli aderenti la Spa, svantaggio ai renitenti.
Per lenire il colpo a quei renitenti toccherà sussurrar come, tra l’affrancamento dal bisogno e/o il potere d’acquisto insufficiente per dare ristoro ai neo bisogni, la domanda resti l’unica merce scarsa sul mercato. Come insomma, pur dopo il mondo pandemizzato, continuerà a esservi più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre.
Nell’universo produttivo dell’Economia dei consumi, proprio il “paradigma del vantaggio comparato”, quello che mi suggerì nonno Rizieri, dovrà fornire la regola per poter dare a Cesare quel ch’è di Cesare: La crescita si faccia con la spesa, non con la produzione né con il lavoro. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, crea lavoro e ne paga il costo remunerando tutti; pure quelli del Capitale.
Sissignori, il tempo stringe. Questo paradigma che fin ieri doveva riparare il danno generato da una stagnazione congenita, oggi può farsi antidoto economico/produttivo affinché la pandemia Covid-19 non degeneri in quella della penuria.
(2- fine)