Claudio Gentile contro il sistema. Una delle bandiere del nostro calcio ha rilasciato una lunga intervista a Il Giornale e ha parlato della sua esperienza da allenatore, utile per accusare – di nuovo – un sistema nel quale meritocrazia e duro lavoro, secondo lui, non esistono più. Gentile è stato grande come difensore: sei scudetti vinti con la Juventus, soprattutto quel Mondiale 1982 che lo ha consacrato come straordinario marcatore, annullando prima un certo Diego Armando Maradona (il suo duello con il Pibe de Oro, spesso ai limiti del regolamento e forse odierno per i canoni odierni, è diventato leggenda) e poi Zico nel gironcino che ci riscattò dall’orrenda prima fase e ci portò in semifinale. Poi ha preso la panchina della nostra Under 21: nel 2004 ha vinto l’Europeo (l’ultimo per la nostra nazionale giovanile) e il bronzo olimpico, ma due anni più tardi a fine mandato è scomparso dal mondo del calcio.
Oggi, Gentile ha nuovamente spiegato il perché: si è rifatto anche ad una frase di Carlo Mazzone secondo il quale ci sono due tipi di tecnici, gli allenatori e gli accompagnatori. “Io sono un allenatore e non mi faccio imporre le scelte da nessuno”. C’è anche una citazione colta nella sua intervista, ovvero quella per cui il calcio in Italia è “gattopardesco: cambiano presidenti e dirigenti ma rimane tutto uguale”. Personaggi che secondo lui hanno fallito ovunque ma trovano sempre squadra, mentre lui è stato cacciato dopo aver vinto. “In Italia se non abbassi la testa e fai quello che dicono non ti fanno lavorare”. Ma Gentile non si pente di aver parlato apertamente, dice di non voler essere un burattino e pazienza se per questo non trova lavoro nel nostro Paese. Meglio così, dice; non ne fa una questione personale, semplicemente si è smesso di “chiamare i più meritevoli e hanno iniziato a trovare spazio anche i raccomandati”.
CLAUDIO GENTILE: “IN ITALIA AVANZA CHI HA I SOLDI”
Ecco allora il nodo gordiano, che parte dalle giovanili: Gentile dice che quando era piccolo si giocava per passione, 6-7 ore di partita in oratorio e in quel modo ci si migliorava, attraverso l’amore per il calcio. Oggi? “I genitori spesso spingono i figli, sperando che siano i nuovi Ronaldo per fare un mucchio di soldi”. Atteggiamento che non si ripercuote solo in alcune tristi scene sugli spalti, ma anche e soprattutto nei vivai: la denuncia di Gentile è pesante ma non nuova, ed è di duplice natura. Innanzitutto, “molti allenatori invece di far crescere i ragazzini li imbottiscono di nozioni tattiche, a 11-13 anni dovrebbero pensare a divertirsi”. Poi, i talentuosi che vengono scavalcati: “Un ragazzo con il papà che ha i soldi fa fuori la concorrenza e ha una possibilità in più di fare carriera”. Padri che pagano le società perché il proprio figlio faccia strada e giochi, a scapito di chi lo meriterebbe di più. Cosa comporta questo? Che il talento si disperde, perché ragazzi bravi si vedono passare davanti chi non lo meriterebbe e allora pensa “cosa ci sto a fare?”. Già, anche questo è un problema del nostro calcio.