Il ministro Lucia Azzolina parla con tutti, ma non con la scuola italiana. Ieri è stata ospite di Skuola.net è ha fatto alcune dichiarazioni relative all’esame di Stato a conclusione dei cicli di istruzione. Tesina elaborata dagli studenti e scrutini per la terza media, mentre in quinta superiore un esame che inizia il 17 giugno, fatto in presenza, senza prove scritte, ma ricondotto al solo colloquio orale. È prevista anche una super-valutazione del credito scolastico (il punteggio derivante dalla media dei volti del triennio) che passa da 40 a 60 punti e il colloquio conterà per i restanti 40 punti del voto finale.
Azzolina ha poi ribadito che tutti gli studenti saranno ammessi all’anno successivo, portando con sé anche i debiti nelle materie insufficienti, visto che “Le valutazioni si faranno: chi aveva 8 avrà 8, chi merita 4 avrà 4 e il prossimo anno bisogna recuperarlo. Lo studente deve maturare conoscenze e competenze. A inizio settembre chi deve recuperare delle competenze lo farà, altrimenti il prossimo anno scolastico sarà il più in salita possibile”.
Nel collegamento video con il noto portale degli studenti, la titolare dell’Istruzione ha precisato che la commissione sarà composta da sei docenti interni e che il primo argomento del colloquio sarà proposto dal candidato.
Oltre alle parole però non vi è nulla di certo. Solo anticipazioni che lasciano le scuole nell’incertezza più totale. I dirigenti scolastici devono impostare le attività di fine anno ancora sul decreto legge 22/2020 che è molto generico e che esplicitamente rimanda a due ordinanze ministeriali che ancora non sono state prodotte. In un passaggio dell’intervento di ieri il ministro ne ha fatto cenno, ma stupisce l’approssimazione di chi invece di parlare con atti legislativi, continua a fare esternazioni giornalistiche.
Eppure in una situazione così complicata per docenti, studenti e famiglie, la chiarezza e la certezza delle procedure è indispensabile. La pandemia ha rappresentato un vero terremoto per la scuola. Ha messo da parte modelli scolastici oramai consolidati, ha ridotto a zero le relazioni interpersonali, ha definitivamente emarginato l’acquisizione di conoscenze e competenze e ha individualizzato, quasi annullandolo, il rapporto educativo. È comprensibile nella classe dirigente e quindi anche nel capo del dicastero dell’istruzione, che guida 9 milioni di studenti e oltre un milione tra dirigenti, docenti e personale Ata, uno smarrimento iniziale. Ma nel Nord Italia la scuola è chiusa dal 24 febbraio e nel resto del territorio dal 9 marzo e restano poco più di 5 settimane di didattica a distanza.
Ebbene, il ministero dell’Istruzione non ha ancora saputo elaborare nessun testo legislativo o ordinamentale che disciplini in modo certo la fine dell’anno scolastico in particolare del secondo ciclo. Non si è cercato di sostenere con direttive chiare la valutazione degli studenti, dimenticandosi che non esiste scuola senza valutazione.
Tutti i dirigenti scolastici italiani stanno cercando di capire se bisognerà mettere i voti sul registro elettronico, oppure se sia meglio evitare delle valutazioni dirette degli apprendimenti e orientarsi su criteri sommativi di fine anno scolastico. Molti non sanno bene come debba essere valutata la didattica a distanza, se dare peso alla partecipazione alle videolezioni, oppure se i colloqui orali possano sostituire le prove scritte, che via internet non possono essere svolte in modo rigoroso.
Inoltre non sono stati indicati i nuovi criteri per la redazione del documento del 15 maggio e a oggi non è nemmeno sicuro se si debba presentare, visto che la commissione è composta da commissari interni. Ovviamente sono superate le simulazioni delle prove scritte in quanto l’esame sarà solo orale, ma scarse indicazioni ci sono anche sui percorsi Pcto (la vecchia alternanza scuola-lavoro) e sui percorsi di Cittadinanza e Costituzione, che lo scorso anno hanno messo in difficoltà gli allievi di tutti gli indirizzi in cui non sono insegnate le materie giuridico-economiche.
Ne deriva un quadro desolante di una scuola statale gestita in modo centralistico, in cui i suoi vertici sembrano però incapaci di prendere decisioni rapide ed incisive. Un problema generale della politica italiana che anche in occasione dell’epidemia del Covid-19 ha mostrato forti incertezze nella gestione della crisi, oppure all’opposto ha governato l’emergenza soltanto con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, scavalcando il Parlamento.
Se dunque il coronavirus ha il merito di aver dimostrato ancora una volta l’inefficacia del centralismo statale dell’istruzione italiana, nell’avviare la riflessione sulla scuola dei prossimi anni oggi si presenta l’occasione di dare corso a un’effettiva autonomia didattica e amministrativa.