Uno studio condotto dall’Università di Pavia guidati da Enrico Baldi (ripreso anche sul The New England Journal of Medicine) parla dei casi di arresto cardiaco extra-ospedaliero con riferimento alle quattro province che per prime sono state oggetto della prima zona rossa da Coronavirus: Lodi, Cremona, Mantova e Pavia. Lo studio rende noto come in queste zone della Lombardia i casi siano aumentati del 58% rispetto allo scorso anno: erano 229 nel 2019, sono oggi 362. Nel dettaglio, la causa di questo aumento sarebbe proprio da ricercarsi nel Coronavirus: la lettera che il team di Baldi ha inviato al NEJM specifica che nei due periodi presi in esame il sesso e l’età dei pazienti sono simili, ma che nei primi mesi del 2020 “l’incidenza di arresto cardiaco extra-ospedaliero dovuto a una causa clinica è di 6,5 punti percentuali più elevata”.
Così anche per quanto riguarda gli altri dati, ovvero l’arresto cardiaco a casa (+7,3%) e l’arresto cardiaco extra-ospedaliero senza testimoni che è cresciuto di ben 11,3 punti percentuali. Parlando dei soccorsi, si dice che in media abbiano impiegato 3 minuti per raggiungere i pazienti; è calata del 16,5% la probabilità che le persone colpite da arresto cardiaco ricevessero la rianimazione cardio-polmonare da persone presenti sul posto rispetto allo stesso periodo del 2019 preso in esame per lo studio, infine si è alzato anche il tasso di decesso sul campo che nei primi mesi del 2020 tocca un 88,7% contro il 77,3% dello scorso anno.
CORONAVIRUS, LO STUDIO DI BRESCIA SUI CARDIOPATICI
Il legame tra il Coronavirus e le malattie cardiache, e il fatto che il virus possa colpire anche il cuore, è stato studiato dall’Università di Brescia, come si legge su Il Sole 24 Ore: il professor Marco Metra, direttore dell’Unità di Cardiologia dell’ASST-Spedali Civili descrive per la prima volta dati demografici, caratteristiche cliniche e prognosi dei pazienti contagiati da Covid-19 che sono anche cardiopatici, confrontandoli con i pazienti che non abbiano malattie cardiache. I pazienti oggetto dello studio sono stati ricoverati tra il 4 e il 25 marzo – naturalmente dell’anno in corso – e i risultati dello studio sono in pubblicazione su European Heart Journal, considerata la più importante al mondo in campo cardiologico. Il professor Metra ha spiegato che per i pazienti affetti da cardiopatia la prognosi è estremamente severa, “significativamente peggiore di quella già grave dei non cardiopatici con polmonite da Covid-19”.
Lo studio ha individuato come cause principali di mortalità la sindrome da distress respiratorio acuto, eventi tromboembolici (tra questi l’embolia polmonare) e lo shock settico; il professor Metra ha spiegato come alcuni studi cinesi avessero già associato il Coronavirus ai pazienti cardiopatici parlando della possibilità di un danno cardiaco in corso d’infezione, ma il suo studio descrive per la prima volta “sia le caratteristiche cliniche che i fattori di rischio per aumentata mortalità di questi pazienti”. Dunque sono presi in esame l’età, la storia di insufficienza cardiaca e renale, il diabete. Nello specifico lo studio ha preso in esame 99 pazienti con Coronavirus: di questi, 53 cardiopatici (il 40% con una storia di insufficienza cardiaca) e 46 senza una malattia cardiaca concomitante. Nella casistica totale, la mortalità più alta si è riscontrata tra i pazienti con cardiopatia: 36% contro 15%, e gli eventi tromboembolici e di shock settico sono stati più elevati, ovvero 23% e 11% contro 6% e 0 tra i non cardiopatici.