«I governanti, il mondo scientifico ed economico hanno il dovere di progettare una fase 2 senza il ripristino dell’”affare azzardo”, ma di pensare a una umana alternativa aperta anche per i lavoratori che operano nel settore”. La richiesta è stata avanzata in questi giorni dalla Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II” e un appello è stato lanciato al premier Conte da decine di associazioni e movimenti impegnati sul fronte delle azzardopatie: «non faccia ripartire l’azzardo» dopo la sospensione decisa a inizio marzo. Due prese di posizione che fanno seguito alla presentazione del Def, nel quale il governo prevede dall’azzardo «maggiori entrate per circa 1,3 miliardi nel 2020 e 1,2 miliardi nel 2021». Intanto, aumenta il numero di telefonate da parte dei giocatori d’azzardo in preda a crisi di astinenza al numero verde dell’Istituto Superiore di Sanità: chiamate che prima duravano in media 15 minuti, oggi durano almeno 40, fanno sapere dal Centro dipendenze e doping dell’Iss. “E non va dimenticato, ovviamente, l’impatto economico del gioco d’azzardo sul nostro Servizio sanitario nazionale e sul nostro welfare”, sottolinea Luigi Pastorelli, docente incaricato di Teoria del rischio e Direttore tecnico del Gruppo Schult’z, che sul tema ha preparato uno studio dal titolo “Chasing”, concetto che nel gioco d’azzardo indica quando il soggetto dopo aver perduto denaro torna a giocare per tentare di rifarsi e inevitabilmente perde di nuovo.
Professore, perché questo studio?
Utilizzando la Teoria del rischio ho esaminato l’impatto economico del gioco d’azzardo su Ssn e sistema di welfare italiano. Questo studio da parte mia è stato inviato a diversi deputati e senatori per sollecitarli a promuovere un provvedimento di legge, auspicabilmente bipartisan, che vieti, da un lato, alle aziende del settore di effettuare la profilazione del giocatore e, dall’altro, la prassi assai diffusa di offrire un bonus iniziale a titolo gratuito che invoglia il soggetto a giocare fino a quando lo perde e investe proprio denaro. Sul presupposto che ciò determina un danno a carico delle persone che presentano una maggiore fragilità psichica.
Che cosa dimostra il suo studio?
Che l’incidenza del Gioco d’azzardo patologico (Gap), correlato a età del giocatore, status economico e sociale del giocatore, titolo di studio del giocatore e periodo di gioco, in assenza di misure idonee di informazione e prevenzione può rappresentare, a causa della sua diffusione, non solo un’autentica malattia sociale e un grave problema di salute pubblica in termini di cura e di riabilitazione, ma un elevato impatto sui costi economici del nostro Ssn e del nostro welfare.
Quali sono i fattori che favoriscono la diffusione del Gap?
Sono diversi: il carattere solitario del gioco, l’offerta pervasiva nell’intero arco della giornata, le caratteristiche incentivanti dei giochi, la riscossione immediata dell’eventuale vincita, la diffusione territoriale, la tipologia di pubblicità, l’utilizzo di internet che rende disponibile il gioco d’azzardo 24 ore su 24.
Cura e assistenza delle persone con problemi di Gap che impatto hanno sul nostro sistema sanitario e di welfare?
I soggetti affetti da Gap sono affidati ai servizi per le tossicodipendenze delle Ausl, che si avvalgono della collaborazione dei Centri per la salute mentale e delle strutture associative. Il mio studio evidenzia una maggiore incidenza sul nostro Ssn in tre fasce d’età: fino ai 45 anni pari a un incremento del 12% di costi economici rispetto alla fascia di età similare di non giocatori, dai 45 ai 60 anni pari a +18% e tra gli over 60 si arriva al +25% di costi economici.
Tradotto in numeri?
Secondo le mie stime, i costi sanitari diretti ammonterebbero a 85 milioni di
euro all’anno, mentre i costi sanitari indiretti e i costi sociali conseguenti toccherebbero complessivamente i 7 miliardi di euro all’anno.
Nel suo studio lei suggerisce di vietare la profilazione del cliente da parte delle società di scommesse e di giochi online e il conferimento di un bonus iniziale in denaro. Perché?
Entrambe le pratiche, molto diffuse, tendono a invogliare il cliente a iniziare a giocare d’azzardo, a continuare il più a lungo possibile o a incentivarlo a tornare a giocare se per qualunque ragione aveva smesso. Ecco perché ritengo che a gestire i dati rilevati dal conto di gioco debba essere un soggetto terzo, ad esempio Sogei, l’azienda Italiana che opera nel settore Itc controllata al 100% dal ministero dell’Economia, la quale gestisce il sistema informativo su cui si basa il gioco pubblico.
E il bonus iniziale?
Il concetto di payback, che nell’ambito del gioco d’azzardo è considerato l’equivalente della nicotina per il fumatore, è il fattore incentivante: le frequenti vincite basse incentivano a giocare più a lungo. A mio avviso, però, si pone il problema della liceità giuridica della pratica del bonus in denaro per invogliare a iniziare a giocare. Questo bonus è teso a evitare che il conto di gioco di ciascun giocatore possa divenire conto dormiente, cioè utilizzato almeno una volta nei 5 mesi precedenti, il 26% del totale, o conto morto, mai movimentato da 5 mesi, il 50% del totale. Quindi la finalità degli operatori è spingere ad avere sempre un conto di gioco attivo, che rappresenta il 22% del totale. Il mio studio dimostra che la concessione di un bonus fa aumentare del 30% l’intenzione di gioco, soprattutto nella fascia giovanile.
Si parla spesso di gioco responsabile o consapevole. Che ne pensa?
Parlare di gioco responsabile o consapevole è una contraddizione, un palliativo, in un contesto caratterizzato dal consumo di massa del gioco d’azzardo. Senza dimenticare che le varie campagne informative a tal scopo non si sono dimostrate efficaci in termini di prevenzione e riduzione del Gap.
(Marco Tedesco)