Alla fine non è arrivata nessuna condanna per quanto riguarda la strage della Loveparade del 2010. Così come già pronosticato negli scorsi giorni, il tribunale di Duisburg ha deciso di archiviare il processo circa le 21 morti avvenute durante il festival berlinese dieci anni or sono, un evento in cui perse la vita anche l’italiana Giulia Minola, e in cui rimasero ferite ben 650 persone. Grande delusione per i famigliari delle vittime, a cominciare da Nadia Zanacchi, la mamma di Giulia, che in una delle ultime interviste rilasciate aveva già capito come si sarebbe conclusa la vicenda, dopo che la posizione di sette dei dieci imputati era stata archiviata: «Oggi – l’intervista a Il Giorno del febbraio 2019 – è davvero dura ed è peggio di quando è arrivata l’ufficialità dell’archiviazione perché ci si rende conto che è tutto vero. La morte di 21 ragazzi rischia di restare senza alcuna responsabile». La strage avvenne il 24 luglio del 2010, e il processo, iniziato a dicembre del 2017, si è concluso con un nulla di fatto dopo 183 udienze.
DISASTRO LOVE PARADE 2010: LA RICOSTRUZIONE DEI TRAGICI EVENTI
Per tre dei dieci imputati le accuse erano di omicidio colposo e lesioni colpose, ma con l’archiviazione di oggi la strage resta senza alcun colpevole. L’edizione del 2010 della Loveparade fu la prima ed ultima che si tenne in uno spazio chiuso, precisamente l’area della vecchia stazione merci: aveva una capacità di 250mila persone, ma i raver attesi erano più di un milione. Alle ore 12:00 del 24 luglio vennero aperti i cancelli, ma tre ore e mezza dopo, visto il sovraffollamento, gli organizzatori chiesero alla polizia di bloccare gli accessi. Peccato però che la folla decise di ignorare l’avvertimento, entrando da un tunnel che nel giro di breve tempo si intasò. Nacque così una calca incredibile che provocò appunto 21 morti e ben 650 feriti: la maggior parte dei decessi avvenne per schiacciamento della cassa toracica. Per evitare il panico, gli organizzatori decisero di non comunicare la notizia, e il rave proseguì fino alla sua naturale conclusione.