RUSSIA, COVID E PETROLIO/ Se l’economia non si riprende ci saranno seri problemi (per Putin)
Il potere assoluto di Putin comincia a scricchiolare? “Ci sono piccoli segnali – sottolinea in questa intervista l’ex generale Giuseppe Morabito, membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (IGSDA) e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation (NDCF) – ma non tali da ipotizzare domani due milioni di persone in piazza a Mosca”. Piccoli segnali di malcontento rappresentati dal calo di popolarità del presidente russo, per quanto rimanga su percentuali molto alte (63%), dalla mancata attuazione della promessa, annunciata in tv, di dare il salario pieno ai lavoratori costretti a restare a casa a causa del coronavirus e dalla crescita sempre più esponenziale dei casi di pandemia. “Il problema maggiore, però, più che il Covid-19 resta il petrolio, che la Russia fa fatica a vendere e che sta mettendo in ginocchio l’economia”.
La Russia ha superato i 145mila casi di contagio, anche se il tasso di mortalità non è alto. In alcune zone del paese si sono registrate proteste per la scarsa assistenza sanitaria e la popolarità di Putin è in discesa. Riuscirà a far fronte a questa crisi provocata dalla pandemia?
Non è il virus il vero problema della Russia, ma l’economia legata alla crisi del petrolio. Il problema maggiore al momento è che gli acquirenti abituali del greggio russo hanno riempito i loro depositi, per cui non hanno bisogno di comprare ancora. Questo succede in Cina, ma anche negli Stati Uniti, dove i depositi di petrolio sono tutti pieni, a causa del crollo della domanda provocato dal blocco delle attività produttive. Il deposito di Cushing, in Oklahoma, famoso come l’incrocio degli oleodotti mondiali, è ormai saturo. In queste condizioni, non potendo più vendere petrolio, i russi dovrebbero interrompere l’attività di pompaggio: solo che poi riattivarla ha dei costi molto elevati.
La Banca centrale di Mosca ha dichiarato che “è probabile che l’economia della Federazione Russa andrà incontro a una recessione nel corso del 2020”. Questo quadro metterà in crisi il potere assoluto di Putin, che ha dovuto anche rimandare il referendum che avrebbe garantito la sua rielezione?
Non nel breve tempo; non ci possiamo aspettare una rivoluzione a Mosca. Sappiamo che nella capitale russa si decide tutto, è lì dove c’è il centro del potere. Certo, se dopo il virus l’economia non riprenderà, potrebbero verificarsi seri problemi.
Si sa che da tempo Putin ha degli avversari “silenziosi”: ne potrebbero approfittare?
Al momento ci sono piccoli segnali che fanno intuire come la Russia si stia ritirando dallo scenario internazionale a causa della crisi interna che sta vivendo. La presenza all’estero è stata ridotta, non è più la Russia interventista a cui eravamo abituati. Sono piccoli segnali di un tentativo di tagliare le spese per far quadrare i conti.
In Libia, ad esempio, il generale Haftar, grande alleato di Mosca, sta subendo diverse sconfitte.
Non solo. Si comincia a parlare di una successione ad Assad con l’avallo di Mosca facendo un accordo con l’Iran ed Erdogan, che aprirebbe anche alla presenza di forze della minoranza al governo di Damasco.
Che quadro si trova ad affrontare oggi la Russia?
Se il prezzo del petrolio non risale, l’economia ne soffrirà. In questo periodo dell’anno, poi, si riduce anche la richiesta di gas dall’Occidente. E se non ripartono le fabbriche tedesche e polacche, c’è minore domanda di energia, cioè minori vendite di gas russo. Tutti colpi duri per Mosca.
In questi giorni torna a casa la spedizione di disinfestatori russi che sono stati in Italia per l’emergenza coronavirus. Essendo il nostro paese più vicino a Pechino che a Mosca, che cosa ha significato questa esperienza?
Propaganda e acquisizione di informazioni militari. I russi sono venuti a testare la capacità di reazione del nostro paese a una eventuale guerra batteriologica o chimica. Stileranno un report di quella che è la capacità italiana. E poi è stata una grossa campagna pubblicitaria vedere i camion con le bandiere russe sventolanti sulle strade del nostro paese.
L’obiettivo era mostrarsi più amici dell’Italia di quanto lo siano i cinesi?
Si è aperta una gara. Se si è aperta una contesa tra chi ci può aiutare di più, i russi sono arrivati prima. Adesso si ritirano e ora arriva anche la Cina, così come Taiwan, Cuba, l’Albania. Chi ha voluto dimostrare amicizia lo ha fatto adesso: l’Italia dovrà tenerne conto.