Vittorio Feltri si scaglia contro Carlo De Benedetti e il suo nuovo giornale “Domani”. Lo ha fatto in un editoriale pubblicato su Libero, in cui spiega che andrà in edicola con otto pagine, «una miseria», ma sarà presente anche in una sua versione online. «Comprendo le motivazioni psicologiche che inducono l’ingegnere a tentare l’avventura», scrive il direttore di Libero, ricordando cosa successo con Repubblica. «Regalò le quote del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ai figli che non pare ne abbiano fatto buon uso». Inoltre, secondo Feltri, hanno snaturato il quotidiano che arrivò a superare anche il Corriere della Sera. «Oggi in effetti la Repubblica vivacchia, ha perso forza politica e non è più di moda quanto un tempo lontano». Per Feltri la colpa non è solo di quelli che chiama «novelli editori improvvisati tali», anche se ritiene che questo sia il pensiero di Carlo De Benedetti. Quest’ultimo, comunque, non si è rassegnato alla crisi del suo prodotto e quindi si rilancia nel mondo della carta stampata nella convinzione, scrive Feltri, «di poter dimostrare ai propri eredi che non capiscono un tubo».
FELTRI SU DE BENEDETTI E IL GIORNALE “DOMANI”
Vittorio Feltri augura a Carlo De Benedetti di raggiungere i suoi obiettivi, ma teme che quei 10 milioni di euro investi per il nuovo giornale “Domani” non bastino. «Lanciare su un mercato zoppicante e asfittico un progetto ambizioso richiede uno sforzo economico enorme. E a volte i soldi non sono una garanzia». Per il direttore di Libero, l’imprenditore rischia di fallire. Ricorda infatti che per fare concorrenza a Repubblica «occorre qualcosa di importante, molto importante, e dubito che Domani possa giungere a dopodomani». A tal proposito, Vittorio Feltri ricorda l’esperienza di Indro Montanelli, «non un pirla qualsiasi», il quale ebbe l’idea, dopo aver lasciato il Giornale, «di uccidere la sua vecchia creatura con una fresca, la Voce». All’inizio fu un successo, poi si esaurì. Il Giornale, a cui aveva «saccheggiato l’organico», seppe resistere all’offensiva quando lui ne assunse le redini. «Nonostante fosse diretto da me, in confronto al predecessore una pulce, andò al contrattacco e non solo raddoppiò le vendite nel giro di un anno abbondante, ma altresì costrinse la Voce ad ammutolirsi, tant’è che quest’ultimo chiuse i battenti».
FELTRI A DE BENEDETTI “ASPETTAVI FUNERALE REPUBBLICA…”
Vittorio Feltri ricorda quindi quell’esperienza che «fu non soltanto una catastrofe bensì pure una cocente umiliazione» per Indro Montanelli. Il direttore di Libero, però, spiega anche che questo non certifica una sua superiorità, infatti parla di Indro Montanelli definendolo «immenso scrittore toscano», ma conferma una sua teoria. «I giornali sono come le fidanzate, se i direttori li tradiscono non sai come va a finire». Mantenendo questa metafora, il giornalista spiega quindi che «i lettori puniscono il cornificatore e non il cornificato». L’errore di Carlo De Benedetti, secondo Vittorio Feltri, sta nell’aver ceduto Repubblica ai figli, che non conoscono il mondo dell’editoria e sono indifferenti alle sue sorti. «Egli avrebbe dovuto semmai tenersela e guidarla come aveva sempre fatto, con maestria». E quindi, rivolgendosi direttamente all’imprenditore, il direttore di Libero nel suo editoriale ha citato anche Paganini, che non concedeva mai il bis: «Invece di replicare in piccolo la gigantesca Repubblica, si limiti ad attenderne il funerale, che non di rado è più divertente del battesimo».