Si continua a lavorare alla messa a punto del decreto rilancio. Il ministro Gualtieri, lunedì sera, ha parlato di molti nodi risolti, ma ce ne sono altri che stanno creando tensioni tra i partiti della maggioranza, continuando quindi a far tardare il varo di misure che dovrebbero aiutare le imprese e le famiglie a far fronte agli effetti di un lockdown che non per tutte le attività produttive è cessato. Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, nel commentare la situazione, ci tiene a fare una premessa: «È facilissimo criticare, soprattutto per dei professori. Bisogna riconoscere che l’Italia è il Paese che ha dovuto agire con il minor grado di informazione sulla crisi perché si è dovuto muovere prima degli altri in Europa e che il Governo ha cercato di venire incontro rapidamente alle esigenze delle persone. La mia impressione è che, volontariamente o meno, non siamo però veloci quanto dovremmo essere, specialmente laddove c’è più bisogno che ci si muova, in particolare per quelle entità che non rinascono più una volta che chiudono».
Anche perché se le imprese chiudono diventa poi difficile contenere il crollo già pesante del Pil.
Sì e le ultime stime ci dicono che anche in questa gravissima recessione restiamo lontani dalla media di crescita degli altri Paesi europei. In questa crisi siamo potenzialmente i più fragili, sia per la struttura dimensionale delle nostre imprese, sia perché alcuni settori per noi importanti – come il turismo, il cibo e quelli dove il brand Italia è una componente importante, come l’università che dovrà scontare un netto calo degli studenti stranieri che venivano a formarsi nel nostro Paese – sono stati colpiti in maniera molto forte. Credo che forse non si sia compresa e non si stia comprendendo pienamente la gravità della situazione, perché siamo di fronte a un’isteresi, cioè uno shock temporaneo che ha effetti di lungo periodo. C’è il rischio che molte Pmi spariscano se non agiamo. In questo senso penso che ci siano due grandi criticità che si sommano.
A che cosa si riferisce?
La prima criticità è l’ammontare di risorse che si mettono a disposizione dell’economia. È giusto rinnovare la Cig, ma le imprese non hanno solo il costo del lavoro, ce ne sono altri indifferibili – come l’affitto e le utenze – che a fronte di sgravi pari a zero diventano un problema. A me pare ci sia una timidezza di fondo sulle dinamiche dei conti pubblici che ostacola stanziamenti coraggiosi come quelli degli Usa o di altri Paesi europei. Si pensa alle risorse che non abbiamo, visto che il nostro deficit tende naturalmente, senza fare altro, all’8-10% del Pil, in virtù delle previste minori entrate, perché ci sarà chi non riuscirà a pagare le tasse nel 2020 a causa della crisi, e maggiori spese, anche per gli stabilizzatori automatici nel mondo del lavoro. Ovviamente c’è anche il crollo del Pil che automaticamente fa alzare i rapporti deficit/Pil e debito/Pil. Per tutte queste ragioni si dice che non possiamo aumentare più di tanto gli stanziamenti.
E non così?
Io sono convinto che bisognerebbe fare di più per un motivo molto semplice: se il Pil tornasse rapidamente al livello precedente la pandemia, con una crescita nel 2021 che al momento non è in grado di recuperare il crollo di quest’anno, non ci sarebbero problemi per il deficit/Pil e il debito/Pil. Ecco allora che tutto lo sforzo dovrebbe concentrarsi perché non ci siano effetti negativi di lungo periodo sul Pil, per non far sparire una marea di aziende dalla scena. Bisogna quindi essere, anche in nome della finanza pubblica, più coraggiosi oggi, così da essere anche più tranquilli domani.
Qual è invece la seconda criticità?
Riguarda il soggetto che deve mettere a disposizione dell’economia le risorse stanziate. Il Governo ha scelto come agente le banche e credo che sia stato fatto un errore. Il decreto liquidità non sta funzionando, in primo luogo, perché si tratta di prestiti e tantissime imprese preoccupate per il proprio futuro non vedono perché aggiungere a questo pessimismo il costo addizionale di un prestito. Inoltre, ci sono aziende che vanno in banca e ottengono semplicemente che un fido già in essere sia rifinanziato a condizioni diverse. In questo modo la banca ne ha giovamento, perché passa da un fido non garantito a uno garantito, ma la condizione di liquidità dell’azienda non è di fatto supportata. Se guardiamo all’esperienza americana, non si sono fatti esattamente dei prestiti, ma dei forgivable loans, letteralmente prestiti perdonabili.
Qual è la differenza con i prestiti tradizionali?
Che se si dimostra che parte del crollo del fatturato è dovuto al Covid-19, una quota percentuale del rimborso del capitale viene di fatto annullata. È un misto quindi tra un prestito e un trasferimento a fondo perduto, con una preponderanza di questa seconda componente.
Sarebbe uno strumento utilizzabile anche in Italia?
È meglio del trasferimento a fondo perduto perché responsabilizza, anche se minimamente, le aziende e ho letto dei contributi interessanti che spiegano come si possa conciliare questo meccanismo con l’attuale legge, senza uno stravolgimento della stessa. Si potrebbe quindi adottare anche da noi.
Il Governo punta anche a cancellare il saldo dell’Irap a giugno per molte imprese e l’acconto dell’Imu per alberghi e stabilimenti balneari. Cosa ne pensa?
Aver rinviato le scadenze fiscali di due mesi non serve a niente, quindi tutto quello che allevia la problematica di liquidità delle imprese è naturalmente buono, non c’è dubbio. Siamo un Paese che purtroppo non pensa spesso alle imprese, in particolare alle più piccole, visto che è dal 2011 che un ddl sulle Pmi non viene presentato alle Camere, come invece sarebbe obbligatorio in base allo Statuto delle imprese. Lo ribadisco: se ci preoccupa l’andamento del nostro Pil anche per le finanze pubbliche, allora dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione sul Pil.
A questo proposito, la timidezza di cui ha parlato quanto dipende dal Governo e quanto dall’atteggiamento dell’Europa sui conti pubblici?
L’Europa per ora ci ha detto di procedere in autonomia, la Bce ha portato i tassi di interesse a livelli bassi mai come prima. Quindi quello che l’Europa doveva fare mi sembra l’abbia fatto. Certo, c’è un’ambiguità immensa – perché non dobbiamo parlare di Recovery Fund, che ancora deve venire – sul Mes. Io sono assolutamente contrario, e in questo mi schiero anche con chi non la pensa come me sull’euro, a fare ricorso al nuovo “Mes sanitario”, perché ha quella piccola nota a pie’ pagina, tuttavia fondamentale, per cui se prendiamo quei soldi ci impegniamo a rientrare nel percorso di aggiustamento programmatico verso il bilancio in pareggio. Questo non può essere, per due ordini di motivi.
Quali?
Il primo è che abbiamo bisogno in questo momento di dare una certezza di medio lungo periodo a tutta l’economia nazionale sul fatto che non si tornerà rapidamente alla logica precedente sui conti. Il secondo, collegato al primo, è che c’è una grande occasione per dibattere sull’opportunità di riavviare o meno il Fiscal compact: accedere al Mes vorrebbe dire schierarsi perché la logica passata governi il nostro futuro mentre il mondo è completamente cambiato. La mia impressione è che ce la possiamo fare benissimo per conto nostro se capiamo immediatamente quanto grave è la situazione per le nostre imprese. In questo momento c’è un’emergenza, non possiamo aspettare, come ha detto benissimo Mario Draghi, e non possiamo permettere al virus di rimanere nelle nostre vite distruggendo il potenziale della nostra economia per decenni.
Finora abbiamo parlato di imprese. Cosa si dovrebbe invece fare per le famiglie?
Non voglio semplificare, ma il concetto di piccola impresa è molto legato a quello di famiglia. Se per noi la famiglia è centrale, allora lo sono anche le Pmi. Non so quindi se facendo un piano straordinario per le piccole imprese non si faccia comunque anche un piano straordinario per le famiglie. Certo, non è completamente così, e forse una cabina di regia con un colloquio maggiore con i rappresentanti degli interessi delle famiglie sarebbe utile, come lo sarebbe un dialogo, anche più acceso, tra Governo e rappresentanti delle categorie e dei settori produttivi più direttamente colpiti piuttosto che fare ricorso a task force o consigli di esperti e professori come il sottoscritto.
(Lorenzo Torrisi)