In un bell’approfondimento che Rachel Donadio ha scritto per The Atlantic si parla delle “scelte morali” nel corso della Fase 2 del Coronavirus. Cosa si intende? L’assunto è presto spiegato, e cercheremo di sintetizzare visto che l’articolo è particolarmente lungo, andando a toccare riferimenti al passato e dati che riguardano vari Paesi europei. In sintesi, possiamo dire che la tesi è quella secondo cui nel corso della Fase 2 ciascuno di noi sarà chiamato ad avere una responsabilità individuale nel corso della pandemia, arrivando a dover prendere delle scelte anche diverse rispetto al passato. Cominciamo subito a fare alcuni esempi, dicendo che lo spunto di partenza è ovviamente quello della riapertura: adesso che il lockdown totale non c’è più e, anzi, presto si potrà tornare ad avere una vita sostanzialmente normale, sarà cambiata anche la nostra percezione delle attività e di chi ci sta intorno.
Riguardo questo allora si dice che dubbi e paure potrebbero tradursi nella decisione di mandare o meno il proprio figlio a scuola, o semplicemente chiedersi cosa fare se il vicino di casa dovesse invitare gli amici per fare una grigliata. Queste sono domande già emerse, e raccolte da Le Monde nel tentativo di spiegare la situazione: il punto è proprio questo, perché i governi continueranno eventualmente ad emanare delle misure restrittive a livello sanitario e decideranno se e quando riaprire scuole e attività, ma noi potremo tornare a uscire di casa e allora ci si troverà stretti tra la necessità di riprendere la nostra vita, il timore di venire contagiati e ovviamente il dover lavorare. L’espressione “decisione morale” lo tira fuori Boris Cyrulnik, psicologo e neurologo, che cita le pandemie del passato per dire che l’uomo ci ha sempre convissuto, ma che oggi per la prima volta il Coronavirus ha interrotto un periodo di pace e prosperità che durava da 75 anni, cioè dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
LE SCELTE MORALI NELLA FASE 2 DEL CORONAVIRUS
Saranno gli individui a dover decidere, e questo potrebbe creare se non altro dei dubbi: come dice Laura Spinney, che ha scritto 1918. L’influenza spagnola, il popolo tende ad unirsi per fronteggiare una minaccia esterna pur mantenendo un comportamento egoista di fondo, ma quando l’emergenza si esaurisce torna a galla “un comportamento nocivo ed egoista in senso tradizionale”. Questo si lega ad un altro tema, ovvero: se prima l’isolamento era una condizione imposta e dunque, chi più chi meno, tutti l’hanno accettata, adesso che si torna a uscire le scelte individuali potrebbero creare una sorta di incertezza sulle priorità. C’è come il timore che la popolazione mondiale si fosse in qualche modo assuefatta all’isolamento, perché era una condizione nella quale non era chiamata a scegliere in prima persona, e che si possa creare una sorta di “sindrome di Stoccolma” nei confronti della quarantena. Cosa che, di riflesso, potrebbe valere anche per i governi: tema attuale negli Stati Uniti che sono una federazione, ma nell’Unione Europea i cittadini tecnicamente si possono muovere liberamente e dunque la decisione di uno Stato potrebbe avere riflessi diretti su un altro.
Infine, uno scenario che sempre la Spinney ha tracciato: l’autrice ha ricordato che nel corso dell’influenza spagnola del 1918 la popolazione degli Stati Uniti inizialmente aveva rispettato le direttive sanitarie (in quel caso, come in nessun altro, c’era stato il lockdown) ma che dopo un certo tempo, quando si erano accorti che i vaccini non funzionavano e i medici non avevano il controllo della situazione, la fiducia era svanita e con essa anche l’osservanza delle regole. “Il rispetto di misure che possono arginare il contagio non è affatto garantito” scrive la Spinney, che dunque esorta i governi a impegnarsi per far arrivare il messaggio e mantenere la fiducia della popolazione. Il che ovviamente può essere possibile solo se allo stesso tempo crescerà il senso di responsabilità individuale, anche riguardo il modo in cui guarderemo la persona che siederà accanto a noi sull’autobus o quella che incroceremo per strada: ecco perché in questo momento tutto il mondo è di fronte ad un periodo importante e complesso, forse anche più complicato rispetto alla Fase 1 del Coronavirus.