Ieri mattina ci siamo svegliati e non abbiamo trovato – come è ormai costume – il decreto rilancio in Gazzetta Ufficiale, ma solo varie bozze e tra le bozze abbiamo provato a dare contenuto alla misura che riguarda l’Irap. Non è facile comprendere come si arrivi ad affermare “Abbiamo abolito l’Irap per quest’anno!”. Proviamo a fare chiarezza. Chi fa impresa ha imparato che quando si devono versare le imposte non è mai un bel momento e non tanto perché pagare le imposte non sia bello, ma perché a volte diventa difficile capire il perché si debba pagare quello che ti manda il tuo commercialista di fiducia. Tra queste, una delle tasse più odiose, sin da quanto fu introdotta, è proprio l’Irap.
Fu indicata come “imposta sul lavoro” perché era una tassa che penalizzava chi aveva più occupati a discapito di chi invece aveva un processo produttivo interamente automatizzato. A onor del vero, negli anni, quest’aspetto penalizzante della tassa è stata in parte attenuato, ma non di meno l’Irap resta e resterà un’imposta odiata. Forse proprio per questo motivo, pensando di fare una cosa molto popolare, si è deciso di intervenire su questo specifico punto: la politica voleva dare al mondo delle imprese un segnale forte e chiaro. Ma si sa in Italia la politica è come il diavolo, fa le pentole ma si scorda i coperchi. In altre parole, è la burocrazia che domina sulla politica.
Infatti, un’attenta lettura della versione più aggiornata dell’art. 27 fa emergere subito la natura di annuncio senza sostanza dell’intervento che si vuole operare. Al di la della farraginosità introdotta dai tecnici ministeriali, che serve unicamente a perpetuare il proprio potere, emerge come l’annunciato intervento sia un viatico che non porta sollievo. È risaputo che le imposte per ciascun anno di imposta si pagano con la dichiarazione dei redditi che viene fatta l’anno successivo all’anno di imposta di riferimento. È altrettanto risaputo che quando si paga il saldo dell’anno si versa anche l’acconto per l’anno in corso.
Allora proviamo a fare due conti. Le imprese e i lavoratori autonomi nella prossima dichiarazione dei redditi, quella da farsi da qui a qualche giorno, a meno di non aver fatto nel 2019 grossi exploit avranno già versato per intero l’imposta dovuta per il 2019 e quindi resterebbe da versare pochi spiccioli. Se ciò non bastasse, e qui va riconosciuto un merito a chi ha scritto la norma, altrimenti il contribuente onesto sarebbe davvero trattato come un fesso, è scritto: “… fermo restando il versamento dell’acconto dovuto per il medesimo periodo di imposta…“. Cosa significa tutto ciò? Significa che se non hai pagato l’acconto per il 2019 devi pagarlo lo stesso, perché a essere stato abolito è solo l’eventuale differenza che si sarebbe dovuta versare nel caso l’impresa avesse realizzato tali risultati nel 2019 da non risultare coperto dagli acconti.
Ma vi è un ulteriore trabocchetto! Proseguendo nella lettura, l’art. 27 alla fine del primo comma recita: “Non è altresì dovuto il versamento della prima rata di acconto dell’Irap relativa all’anno di imposta successivo a quello in corso al 31/12/2019” (2020). Questo significa che nel 2021 l’azienda dovrà determinare l’imposta nei modi ordinari e versare, in sede di dichiarazione, l’importo dovuto per intero, non essendo più coperto dal versamento dell’acconto. Al momento non è chiaro se dovrà versare anche la sanzione per l’omesso versamento. Ma questo aggiungerebbe solo il danno alla beffa.
Altrettanto non è chiara la sorte delle aziende nate nel 2019. Queste ultime non hanno versato acconti per cui avranno il maggior beneficio potendo non versare il saldo: di fatto saranno le uniche ad avere uno sconto del 100% della imposta dovuta.
A questo punto mi chiedo e vi chiedo: se veramente si voleva mettere in atto un’azione di “rilancio” non ci si poteva limitare a dire che l’Irap andava pagata al 70% del dovuto? Si manteneva la liquidità nelle tasche delle imprese e si sarebbe dato un vero segnale di “fondo perduto” per tutti.