“Credo ci sia ancora troppo assistenzialismo, troppa distribuzione di fondi un po’ a pioggia e poca capacità di riflessione su cosa sarebbe necessario fare per ridare slancio al mondo delle imprese e al mondo dell’economia. La situazione è tale per cui o si ricostituisce subito la catena di creazione del valore oppure questo paese andrà a sbattere”. Arrivano diretti i giudizi di Fabio Tamburini, direttore del Sole 24 Ore, di Radio 24 e dell’agenzia Radiocor, dopo i dati dell’Istat sul fatturato (-25,8%) delle imprese italiane a marzo. Ennesimo segnale, assieme alle stime del Pil 2020 in caduta verticale (-12%), della profonda recessione che sta investendo l’Italia e di fronte alla quale il decreto Rilancio si mostra del tutto inadeguato. Anzi, lo scenario che intravvede Tamburini è cupo: disoccupazione, miseria e rivolta sociale.
Qual è il punto debole del decreto Rilancio?
Era partito come decreto Aprile, e non si è visto, poi è stato chiamato decreto Maggio, ed è rimasto almeno per un paio di settimane sulla carta, adesso sta nascendo – ma, attenzione, il testo definitivo ancora oggi non è disponibile – un decreto ribattezzato Rilancio. C’è un vizio di fondo: è partito con la struttura di decreto per l’emergenza, adesso ha assunto il nome, e lo è di fatto, di decreto che dovrebbe essere per la ripresa. Il problema è che il testo è sempre quello, sia pure con interventi ampi. A questo punto non abbiamo più bisogno di un decreto per l’emergenza, ma di un decreto per la ricostruzione e il rilancio. Ho la netta impressione che non ci siamo ancora.
Lei accennava al fatto che ancora manca una riflessione su quel che serve per riaprire e ripartire davvero, nonostante la presenza di molte task force. Quanta capacità di ascolto ha dimostrato e dimostra questo governo verso le forze sociali ed economiche del paese? Tante categorie si lamentano: presentiamo proposte, ma non ci ascoltano…
Hanno ragione. La capacità di ascolto e di coinvolgimento è pari a zero. Infatti si prosegue per approssimazioni: prime le indiscrezioni sui contenuti dei provvedimenti, poi seguono le alzate di scudi delle categorie e delle professioni, dopo di che ci si mette una pezza, ma ancora non è chiaro che tipo di pezza sarà. Andrebbe totalmente capovolto il meccanismo: partire dall’ascolto delle categorie e delle professioni, arrivare alle proposte, ridiscuterle con loro e con il paese e poi formulare le decisioni finali.
Nelle situazioni di emergenza la tempistica è fattore decisivo. Non si è aspettato troppo a come prepararsi a una vera fase di rilancio? Che cosa manca?
E’ mancato quasi tutto. Tante dichiarazioni, tanti annunci, tante conferenze stampa finte su Facebook – tra l’altro, multinazionale che non paga le tasse in Italia e che vive sottraendo contenuti ai media italiani – e pochi fatti. I fatti sarebbero indispensabili, perché il sistema delle imprese è con l’acqua alla gola: il 40% è nelle condizioni di non sapere se riuscirà a ripartire e come. Questo mondo aspetta fatti e finora ha avuto solo annunci, dichiarazioni di intenti, miliardi e miliardi come se piovessero. Alla fine, le tasche rimangono quasi tutte vuote. Non è quello che si aspetta il paese.
Intanto stiamo cercando di uscire da un lockdown lungo due mesi. In che modo?
Era indispensabile allentare il blocco del paese, e lo si sta facendo, seppure a fatica e senza i necessari interventi per garantire una consapevolezza di questo processo.
Che cosa glielo fa pensare?
Cito alcuni esempi. I tamponi? Si vedono in qualche regione, ma non nel complesso del paese. I test sierologici? Si fanno nelle fabbriche, ma non c’è un intervento coordinato a livello centrale. Le app? Non ce n’è traccia, aspettiamo ancora un po’ e la pandemia si spegne da sola. Bisognava avere la capacità di organizzare la ripresa economica, invece si è perso tempo in annunci più o meno spettacolari. Stiamo riaprendo senza le necessarie cautele. Che Dio ce la mandi buona e incrociamo le dita…
Il Cura Italia ha messo sul piatto 25 miliardi e ora il decreto Rilancio altri 55. Ma dove si vanno a prendere questi 80 miliardi?
Addirittura nelle prime dichiarazioni, secondo un ministro, con il decreto Liquidità si parlava di un effetto leva di 400 miliardi: dove sono? E soprattutto: dove li andiamo a prendere? In questo paese, come abbiamo calcolato recentemente sul Sole 24 Ore, ogni cittadino, compresi neonati e infanti, ha 43mila euro di debito a testa. Significa che una famiglia di tre persone, oggi, ha sul groppone quasi 130mila euro di debiti, che, inevitabilmente, aumenteranno con gli interventi annunciati per la pandemia. Questi debiti vanno restituiti e non possiamo illuderci di andare con il cappello in mano dai tedeschi e dagli olandesi, chiedendo che siano loro a pagare, perché ci hanno già chiuso, ci chiudono e continueranno a chiuderci la porta in faccia. Stiamo andando a sbattere contro un muro con la velocità di una Ferrari.
Secondo l’Istat, a marzo fatturato e ordinativi sono crollati a picco e le previsioni sul Pil 2020 stimano cadute verticali a due cifre. Che scenario economico abbiamo davanti: a “V”, a “U” o a “L”?
Uso altre due lettere dell’alfabeto: la D e la M.
Che significano?
Così come stanno le cose, rischiamo Disoccupazione e Miseria.
Non a caso preoccupano molto una rabbia sociale che sta montando progressivamente e l’aumento della povertà: sono spettri che si stanno avvicinando a grandi passi?
Dopo la “D” e la “M”, aggiungerei la “R”, perché alla disoccupazione e alla miseria poi segue la rivolta sociale. E se fossi un esponente di una delle forze politiche che appoggiano questo governo non dormirei la notte, perché è uno scenario tutt’altro che ipotetico. Siamo un paese con i conti pubblici in bilico: già oggi abbiamo un rapporto debito/Pil oltre il 150%, ma in poche settimane rischiamo di superare quota 160%. Se non si tornano a creare le condizioni per rimettere in moto la creazione di valore, andiamo a fondo. Questo è certo.
A proposito di conti pubblici, al momento il Patto di stabilità è sospeso, ma il Commissario Ue agli Affari economici, Valdis Dombrovskis, ha già fatto sapere che, una volta finita l’emergenza Covid, si tornerà alle regole di prima. Cosa dobbiamo aspettarci dalla Ue?
Lo ripeto: i conti non tornano e francamente non capisco come potrebbero tornare. Avremo un problema grave, quello di restituire i debiti. Che qualcuno non pensi di rimediare con una patrimoniale o un prelievo forzoso sui conti correnti. Sarebbe l’errore finale. Il problema dell’Italia è l’evasione, è inutile andare a chiedere nuovi soldi a chi – e peraltro sono pochi – già le tasse le paga, e sono un’enormità.
In Europa c’è un grande dibattito sul Mes. Alcuni paesi, tra cui la Francia, hanno già deciso di non farvi ricorso. L’Italia farebbe bene a prendere i 37 miliardi del Fondo salva-Stati?
Va chiarito bene se la parte del Mes utilizzabile per finanziare i costi diretti e indiretti della sanità è davvero senza condizionalità. In tal caso, non vedo una ragione per non prenderli. Se ci sono condizionalità, invece, è necessaria una riflessione aggiuntiva.
La Ue intanto ha rinviato al 27 maggio il dibattito sui Recovery fund. E’ un segnale poco incoraggiante?
Credo che a non fidarsi dell’Italia siano in molti, compresa una parte significativa di nostri concittadini. E vedendo come stiamo gestendo questa pandemia, qualche giustificato motivo c’è.
(Marco Biscella)