Domani sono 100 anni dalla nascita di Giovanni Paolo II e in una lunga lettera inviata alla Conferenza Episcopale di Polonia, il successore e grande amico di Papa Wojtyla, Benedetto XVI, ripercorre l’intera storia del grande santo polacco con esperienza personali, racconti e spunti di riflessione per poter definire «Magno» il Santo Padre venuto dall’Est. «Imparò la teologia non solo dai libri, ma anche traendo utili insegnamenti dal contesto specifico in cui lui ed il suo Paese si trovavano», così scrive all’inizio della lettera Joseph Ratzinger, facendo capire fin da subito come le impertinenti accuse di “rigido moralista” (tra l’altro giunte poi anche contro lo stesso Benedetto XVI, ndr) in realtà sono frutto di malignità e non conoscenza di chi era veramente Giovanni Paolo II. Un letterato, un sognatore, un amante della vita e delle persone, un uomo che amava la sua Polonia come pochi a quel tempo, che riusciva a intravedere un futuro di libertà nel periodo più cupo della storia mondiale. Il tutto perché conquistato non dalla “dotta teologia”, ma dalla “rivoluzione” di Cristo in Terra: «Questo sarebbe stato un tratto peculiare che avrebbe contraddistinto tutta la sua vita ed attività. Impara dai libri, ma vive anche di questioni attuali che lo tormentano. Così, per lui da giovane vescovo – dal 1958 vescovo ausiliare e dal 1964 arcivescovo di Cracovia – il Concilio Vaticano II fu la scuola di tutta la sua vita e del suo lavoro».
PAPA WOJTYLA E LA CHIESA DEL NOVECENTO
«Quando il 16 ottobre 1978 il cardinale Wojtyla fu eletto Successore di Pietro», scrive ancora Benedetto XVI ai vescovi polacchi per i 100 dalla nascita dell’amico Karol, «la Chiesa si trovava in una situazione drammatica. Le deliberazioni del Concilio furono presentate in pubblico come una disputa sulla fede stessa, che sembrava così priva del suo carattere di certezza infallibile e inviolabile», ricorda con amarezza ancora Papa Ratzinger, ribadendo però come proprio la straordinario umiltà e testimonianza dell’amico Wojtyla riuscì nell’intento di difendere la Santa Chiesa di Gesù dall’assalto del male nel mondo. «I sociologi dell’epoca paragonavano la situazione della Chiesa a quella dell’Unione Sovietica sotto Gorbaciov, dove nella ricerca delle riforme necessarie l’intera potente immagine dello Stato sovietico alla fine crollò. Così, dinnanzi al nuovo Papa si presentò di fatto un compito assai arduo da affrontare con le sole capacità umane», ricorda ancora la lucidissima disamina di Joseph Ratzinger.
«Si rivelò in Giovanni Paolo II la capacità di suscitare una rinnovata ammirazione per Cristo e per la sua Chiesa. In principio furono le parole pronunciate per l’inizio del suo pontificato, il suo grido», ovvero il famosissimo “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. «Questo tono – prosegue Ratzinger – caratterizzò tutto il suo pontificato rendendolo un rinnovatore e liberatore della Chiesa. Questo perché il nuovo Papa proveniva da un Paese dove il Concilio era stato accolto in modo positivo. Il fattore decisivo non fu quello di dubitare di tutto, ma di rinnovare tutto con gioia. Nei 104 grandi viaggi pastorali che condussero il Pontefice in tutto il mondo, predicò il Vangelo come una notizia gioiosa, spiegando così anche il dovere di ricevere il bene e il Cristo».
“GIOVANNI PAOLO II SCONFISSE COMUNISMO”
Secondo il Papa Emerito, tutta la vita di San Giovanni Paolo II fu incentrata sul proposito di «accettare soggettivamente come suo il centro oggettivo della fede cristiana – l’insegnamento della salvezza – e di consentire agli altri di accettarlo. Grazie a Cristo risorto, la misericordia di Dio è per tutti. Anche se questo centro dell’esistenza cristiana ci è dato solo nella fede, esso ha anche un significato filosofico, perché – dato che la misericordia divina non è un dato di fatto – dobbiamo anche fare i conti con un mondo in cui il contrappeso finale tra il bene e il male non è riconoscibile». Ratzinger sottolinea in questo una straordinaria unità di “intenti” che parte da Wojtyla e arriva fino a Bergoglio: «tutti devono sapere che la misericordia di Dio alla fine si rivelerà più forte della nostra debolezza. Qui dobbiamo trovare l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Contrariamente a quanto talvolta si dice, Giovanni Paolo II non è un rigorista della morale. Dimostrando l’importanza essenziale della misericordia divina, egli ci dà l’opportunità di accettare le esigenze morali poste all’uomo, benché non potremo mai soddisfarlo pienamente. I nostri sforzi morali vengono intrapresi sotto la luce della misericordia di Dio, che si rivela essere una forza che guarisce la nostra debolezza».
Non un testimone di Misericordia che seppe però sconfiggere il male di allora che aleggiava sul mondo e sulla Chiesa di Dio: «Giovanni Paolo II non aveva né forza militare né potere politico. Nel febbraio 1945, quando si parlava della futura forma dell’Europa e della Germania, qualcuno fece notare che bisognava tener conto anche dell’opinione del Papa. Stalin chiese allora: “Quante divisioni ha il Papa?” Naturalmente non ne aveva. Ma il potere della fede si rivelò una forza che, alla fine del 1989, sconvolse il sistema di potere sovietico e permise un nuovo inizio». Secondo Benedetto XVI, il comunismo fu sconfitto anche se non soprattutto grazie a quell’opera di viva testimonianza “Cristo vince su tutto” che seppe incarnare Giovanni Paolo II: «qui possiamo certamente vedere la grandezza che si manifestò nel caso di Leone I e Gregorio I. La questione se in questo caso l’appellativo “magno” sarà accettato o meno deve essere lasciata aperta. È vero che in Giovanni Paolo II la potenza e la bontà di Dio è diventata visibile a tutti noi. In un momento in cui la Chiesa soffre di nuovo per l’assalto del male, egli è per noi un segno di speranza e di conforto» si conclude la lunga lettera ai vescovi polacchi (qui la versione ufficiale, qui la traduzione integrale de “il Tempo”).