E’ il 1983 quando Enzo Tortora, conduttore, autore televisivo e giornalista, viene arrestato con l’accusa di traffico di stupefacenti. Su di lui grava anche il sospetto di essere parte della criminalità organizzata. Il mondo crolla addosso a quel giornalista che aveva ideato Portobello, una delle trasmissioni più seguite negli anni Settanta e che gli aveva permesso di diventare uno dei volti più conosciuti della tv italiana. Oggi, sabato 16 maggio 2020, il caso di Enzo Tortora verrà approfondito da Rai 3 per Enzo Biagi, in onda sul terzo canale dalle 13 in poi. Si ripercorrerà quanto accaduto quel 17 giugno di tanti anni fa, quando i Carabinieri prelevano Tortora in presenza delle telecamere per portarlo a Regina Coeli. Un giorno particolare, visti gli 856 mandati d’arresto spiccati in una trentina di province sparse in tutta Italia. Una maxi operazione che vede coinvolti vip e politici e lo stesso Tortora. A puntare il dito contro il presentatore sono Pasquale Barra, un sicario della Nuova Camorra Organizzata, Giovanni Melluso, componente della mafia siciliana, e Giovanni Pandico, il segretario del boss Raffaele Cutolo e condannato per omicidio e tentato omicidio. Il numero però salirà fino ad un totale di 19 pentiti pronti ad accusare Tortora.
Caso Enzo Tortora, un esempio di malagiustizia
Il caso di Enzo Tortora diventerà in tempi brevi un esempio di malagiustizia, ma prima il conduttore si dovrà sottoporre a infamie, accuse e sospetti del tutto infondati. Ad inchiodarlo agli occhi degli inquirenti non sono solo le dichiarazioni dei pentini, ma anche un nome scritto nell’agendina del killer della Camorra Giuseppe Puca. Anche se più tardi si scoprirà che il suddetto cognome era in realtà Tortona e non Tortora. Il castello di accuse però continua a gravare sulla testa del giornalista. Si cerca un legame con la criminalità organizzata, ci si concentra persino su alcuni centrini di seta inviati dal carcere di Porto Azzurro alla redazione del programma Portobello, ideato da Tortora. Centrini poi persi e motivo che spinge il detenuto Giovanni Pandico a scrivere lettere minacciose al presentatore, tanto da spingerlo a risolvere tutto con un rimborso di 800 mila lire. Avvelenato, Pandico spiegherà invece ai giudici che quei centrini, oggetto di tante lettere, erano in realtà un nome in codice per una partita di cocaina del valore di 80 milioni. A difendere Tortora ben pochi amici, fra cui Enzo Biagi. Sarà lui a scrivere a Sandro Pertini, in quel momento Presidente della Repubblica: “Non le sottopongo il caso di un mio collega, ma quello di un cittadino. Non auspico un suo intervento, ma non potrei perdonarmi il silenzio. Vicende come quella che ha portato in carcere Enzo Tortora possono accadere a chiunque. E questo mi fa paura”. Il conduttore però dovrà attendere l’87 per ottenere l’assoluzione in via definitiva grazie alla sentenza della Cassazione. “Io grido sono innocente”, dirà in quei momenti Tortora, “lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento. Io sono innocente. Spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”.