Silvio Berlusconi sta giocando la sua partita tedesca sotto i riflettori, com’è nel suo stile consolidato. L’83enne ex premier italiano, oggi in predicato di un possibile soccorso “responsabile” alla maggioranza giallorossa, titolare ufficiale della presenza italiana nel Ppe di Angela Merkel e Ursula von der Leyen è – allo stesso tempo, una volta di più – il tycoon televisivo proiettato in un’ambiziosa strategia di internazionalizzazione di Mediaset: con baricentro in Germania.
Nel pieno del lockdown, Mediaset ha proseguito fino al 24,5% la sua scalata alla bavarese ProSiebenSat1, big della tv (sia generalista sia pay) in Germania, Svizzera e Austria. Negli ultimi giorni ha fatto rientro nel capitale ProSiebenSat1 anche Kkr. Il gigante del private equity Usa da pochi mesi è divenuto azionista di controllo di Axel Springer: il colosso dell’editoria giornalistica tedesca (Die Welt, Bild), tradizionalmente vicino alle posizioni moderate-conservatrici di Cdu-Csu. Da ProSiebenSat 1 è stato intanto allontanato il Ceo Max Conze, contrario all’avanzata strategica del Biscione italiano. Cologno accelera dunque verso la creazione di un polo europeo della tv generalista, capeggiato dalla nuova holding Mfe, spostata in Olanda. Ormai prossimo al fallimento appare intanto il tentativo di scalata della francese Vivendi (Vincent Bollorè) alla stessa Mediaset.
La partita cinese di Romano Prodi – 80enne dioscuro-rivale del Cavaliere nella Seconda Repubblica – è meno visibile: com’è proprio di chi big business si è sempre occupato molto e volentieri, ma sempre da importanti ruoli pubblici (presidente dell’Iri, premier, presidente della Commissione Ue). Ciò non ha impedito a Prodi di vedersi attribuire in prima persona passaggi chiave come la discussa vendita della Sme o la privatizzazione di Telecom e poi di Autostrade a metà degli anni ’90; oppure il go-and-stop sulla ristrutturazione della stessa Telecom nel 2007, con l’ipotesi di scorporo della rete (“piano Rovati”) e la trasformazione del gruppo Pirelli-Telecom in “media company” con l’intervento del gruppo Sky.
Oggi Prodi si muove da “grande vecchio” e libero battitore su molti teatri e “corridoi”. Quello fra Italia e Cina è certamente privilegiato: oggi ufficialmente testimoniato da un semplice incarico universitario a Shanghai. Ma l’attenzione (ricambiata) di Prodi verso la Cina dura da almeno trent’anni, segnata da innumerevoli episodi e indizi: a maggior ragione dopo il ribaltone del 2019, apertamente sostenuto dall’ex premier e sfociato in una coalizione di governo dichiaratamente orientata verso Pechino. Un versante geopolitico divenuto bollente dopo lo scoppio della pandemia. Per questo più di un sopracciglio si è alzato, quando pochi giorni fa il gruppo cinese Faw ha annunciato l’intenzione l’intenzione di investire un miliardo in Italia per lo sviluppo della produzione di vetture elettriche.
Lo stabilimento è pianificato nei dintorni di Modena: in uno storico distretto del carmaking (Maserati, Lamborghini; soprattutto, tuttora: Ferrari). Sorgerà quindi a un passo da Reggio Emilia, la homeland politica di Prodi. Nel cuore dell’Emilia Romagna: dove Stefano Bonaccini è stato appena riconfermato anche grazie all’attivismo delle “sardine” (industrial-ambientaliste) incubate nei think tank prodiani. E Bonaccini ha appena annunciato un recovery plan post-coronavirus da 5 miliardi. Un piano rigorosamente regionale, pilotato da un comitato di super-esperti economici. Primo chiamato: Prodi.