Massimo Cacciari è tra i 16 intellettuali che hanno firmato un appello contro la prospettiva di una scuola sempre più “a distanza”, con didattica da remoto, rilanciando invece la necessità della scuola classica “in presenza”, che è socialità e non può essere rimpiazzata da monitor e tablet. Massimo Cacciari ha scritto sul tema anche un articolo per La Stampa, nel quale il filosofo ha affermato che, “per quanto ancora frammentari e non univoci, i messaggi che ci raggiungono in questo esordio della fase 2 a proposito della scuola sono ben più che allarmanti“.
Secondo Cacciari infatti emerge una prospettiva che porterebbe a “una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale, sostituita da un’ulteriore generalizzazione e da una ancor più pervasiva estensione delle modalità telematiche di insegnamento“.
Cacciari e gli altri firmatari dell’appello esprimono dunque tutta la loro contrarietà al nuovo modello di scuola che potrebbe imporsi a causa della pandemia di Coronavirus: “Non si tratterà soltanto di utilizzare le tecnologie da remoto per trasmettere i contenuti delle varie discipline, ma piuttosto di dar vita ad un nuovo modo di concepire la scuola, ben diverso da quello tradizionale”.
CACCIARI: SCUOLA EDUCAZIONE, NON SOLO ISTRUZIONE
Cacciari non nega che la scuola italiana abbia bisogno “di interventi mirati, collocati su piani diversi, tali da investire gli stessi modelli della formazione e lo statuto epistemologico delle varie discipline”. Tuttavia, quella a cui andremmo incontro non sarebbe una vera e propria riforma, quanto un processo per “appiattire il complesso processo dell’educazione sulla dimensione riduttiva dell’istruzione“.
Cacciari critica il fatto che l’Italia non abbia nemmeno preso in considerazione di riaprire le scuole, come si sta facendo in tutto il resto d’Europa dove, con prudenza e gradualità, si sta ripartendo anche nelle nazioni più colpite, su livelli simili all’Italia, quali Spagna o Regno Unito.
Per quanto riguarda il prossimo anno scolastico, aggiunge il filosofo, “nessuno sottovaluta i vincoli oggettivi che potrebbero persistere anche in autunno, rendendo troppo rischioso il tentativo di ritorno alla normalità. Ma dare superficialmente per assodata l’intercambiabilità fra le due modalità di insegnamento – in presenza o da remoto – vuol dire non aver colto il fondamento culturale e civile della scuola, dimostrandosi immemori di una tradizione che dura da più di due millenni e mezzo e che non può essere allegramente rimpiazzata dai monitor dei computer o dalla distribuzione di tablet”.
CACCIARI: SCUOLA È SOCIALITÀ
Insomma, la didattica a distanza non è la stessa cosa della scuola “normale” e non può essere intercambiabile con l’insegnamento in presenza. Il cardine della scuola è nella sua socialità, come si capisce già dell’etimologia della parola, dal greco scholé, che indicava originariamente “quella dimensione di tempo che è liberata dalle necessità del lavoro servile, e può dunque essere impegnata per lo svolgimento di attività più nobili, più corrispondenti alla dignità dell’uomo“.
La scuola dunque non è “meccanico apprendimento di nozioni, non coincide con lo smanettamento di una tastiera, con la sudditanza a motori di ricerca“. La socialità, sia in senso orizzontale (fra allievi) sia verticale (con i docenti), è irrinunciabile con le sue “dinamiche di formazione onnilaterale, crescita intellettuale e morale, maturazione di una coscienza civile e politica“.
Cacciari chiude dunque il suo intervento in modo pungente: “Insomma, qualcosa di appena più importante e incisivo di una messa in piega o di un cappuccino”. Due esempi di cose da fare senza dubbio “in presenza” (può un parrucchiere o un barista lavorare da remoto?), e di conseguenza anche e soprattutto la scuola non può perdere questa dimensione che è sua caratteristica peculiare e decisiva.