Bella Ciao diffusa dai minareti delle moschee di Smirne: non si tratta tuttavia di un omaggio all’Italia, come in diverse parti del mondo è successo in questo periodo di pandemia di Coronavirus, bensì di un gesto di “resistenza” (dunque quale canzone meglio di Bella Ciao?) contro il regime dell’autoritario presidente turco Recep Erdogan, che infatti non l’ha presa per niente bene.
La storia merita allora un certo approfondimento: Smirne è probabilmente la città più laica dell’intera Turchia, non a caso è anche l’unica delle principali città turche dove i conservatori islamici del presidente Erdogan non hanno mai vinto un’elezione. Insomma, una città all’opposizione, o potremmo appunto dire una città di resistenza, che si intona meglio con Bella Ciao – anche se la storia ci ricorda che il canto ebbe successo soprattutto nel Dopoguerra e che non era in realtà così tanto cantata dai partigiani.
Resta però il fatto che ormai da decenni ovunque nel mondo Bella Ciao è diventata l’inno per chi si oppone alla fazione al potere nel proprio Stato, in questo caso la laica Smirne – oppure l’infedele Smirne, come Erdogan l’ha più volte definita con toni anche sprezzanti.
BELLA CIAO DAI MINARETI DI SMIRNE: GESTO CONTRO ERDOGAN
Dunque proprio a Smirne è successo che in pieno Ramadan, al posto dell'”adhan“, cioè la chiamata rituale alla preghiera islamica, dai minareti di diverse moschee del centro cittadino sono risuonate a sorpresa le note di Bella Ciao. Errore? Provocazione? Boicottaggio? Le parole “O partigiano, portami via”, seppure naturalmente in una versione adattata in lingua turca, sono risuonate come una colossale critica al potere, uno sberleffo che ha colto nel segno.
Non a caso, il portavoce del partito conservatore di ispirazione religiosa, già ministro del governo della Turchia, ha espresso tutta la propria ira e indignazione. Che l’episodio non sia stato solo un errore casuale o un gesto isolato lo dimostrano almeno due fatti: innanzitutto, che Bella Ciao è stata diffusa dai minareti di più moschee; inoltre, era cantata dai Grup Yorum, una band folk falcidiata il mese scorso dalle morti per sciopero della fame di tre dei suoi elementi, la cantante Helin Bolek, il bassista Ibrahim Gokcek e il chitarrista Mustafa Kocak.
I tre si sono lasciati morire dopo 300 giorni di digiuno volontario, per non avere ricevuto dalle autorità rassicurazioni necessarie al loro ritorno ai concerti dopo le accuse di “legami con il terrorismo”. La Direzione per gli affari religiosi ha denunciato un sabotaggio, su cui ha avviato un’indagine interna, mentre la procura di Smirne ha aperto un’inchiesta sull’episodio e sui post condivisi sui social per il reato di “offese ai valori religiosi”.