La situazione d’emergenza legata alla pandemia di Coronavirus ha portato in primo piano l’attività di ricerca su farmaci sperimentali, che però non possono essere utilizzati subito: la sperimentazione clinica di medicinali deve osservare alcuni passaggi obbligati, su tutte la valutazione da parte delle autorità regolatorie nazionali come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che naturalmente restano validi anche per i farmaci sul Coronavirus.
Il portale dottoremaeveroche.it ha intervistato Antonio Addis della Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA, il quale ha ricordato che, dopo la valutazione dell’AIFA, è necessario anche l‘esame del Comitato etico dell’IRCCS Lazzaro Spallanzani, un “momento fondamentale di tutela del rigore della ricerca e dei diritti di cittadini e pazienti” che già in diversi casi ha migliorato il disegno di alcuni studi.
La registrazione di una sperimentazione è essenziale perché permette alla comunità scientifica di tenere traccia dei trial, riducendo al minimo il rischio che studi che non danno i risultati attesi vengano in qualche modo tenuti nascosti. Sul Coronavirus sono in corso ricerche su terapie con cellule staminali (23 studi), con l’associazione lopinavir e ritonavir (15), clorochina (11), umifenovir (9), idrossiclorochina (7), terapie sviluppate a partire dal plasma di pazienti guariti (7), favipiravir (7), metilprednisolone (5) e remdesivir (5).
FARMACI SPERIMENTALI: LA TRAFILA PER L’UTILIZZO
Gli studi in corso per verificare l’efficacia dei farmaci sperimentali contro Coronavirus prevedono che l’esito in base al quale sarà giudicata sia prevalentemente di tipo clinico: per esempio, la sopravvivenza del malato, parametro inequivocabile per giudicare la validità di una cura. Per contrastare l’incessante proposta di nuove terapie di cui non si conosce l’efficacia, l’OMS ha avviato uno studio globale per dare risposte solide delle quali fidarsi.
Ana Maria Henao Restrepo, ricercatrice dell’OMS, ha detto: “Tanti piccoli studi portati avanti con metodologie diverse potrebbero non fornire quelle prove chiare di cui abbiamo bisogno riguardo i trattamenti che possono aiutare a salvare vite umane”. Lo studio intende rispondere alle domande chiave che si pongono i cittadini: qualcuno di questi farmaci riduce la mortalità? Riduce il tempo di permanenza del paziente in ospedale? I malati che ricevono uno dei farmaci hanno meno bisogno di ventilazione o di terapia intensiva? “Una risposta veloce ma sbagliata può fare più danni di una risposta più lenta ma esatta” ha commentato il bioeticista canadese Jonathan Kimmelman.
Infine, ci si potrebbe chiedere perché si conducono studi clinici su farmaci che non hanno ancora dimostrato in modo certo la propria efficacia. Addis risponde: “È proprio la condizione di incertezza che motiva la ricerca. Se non avessimo dei dubbi, non ci sarebbe ragione di avviare e condurre sperimentazioni che sono attività costose e richiedono l’impegno e la disponibilità di professionisti sanitari e di pazienti”.