La strage di Capaci ha stravolto la vita di tante persone: Famiglia Cristiana riporta la toccante testimonianza di Alba Terrasi, che era la fidanzata di Rocco Dicillo, uno dei tre agenti della scorta che morì nell’attentato mafioso che il 23 maggio 1992 uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e appunto i tre agenti nella Quarto Savona 15, la prima auto di scorta che fu colpita in pieno dall’esplosione.
Alba Terrasi aveva 22 anni e il 20 luglio di quell’anno avrebbe dovuto sposarsi con il suo Rocco: per la prima volta a Famiglia Cristiana ha concesso un’intervista al di fuori delle commemorazioni ufficiali. “Ciascuno di noi ha una sfera intima che sente di dover proteggere, ma è complicato quando quel privato fa parte di un fatto di cui parla tutto il mondo“. Gli anniversari, con tutti i loro (doverosi) ricordi, sono per i familiari delle vittime “uno stillicidio di particolari: i dettagli di come hanno trovato la macchina e i corpi rinnovano le nostre domande”.
Sono gli interrogativi che perseguitano chi perde in quel modo una persona amata: “Una mamma, una fidanzata, un fratello si chiedono se ha avuto il tempo di avere paura, di sentire dolore fisico. Rivivono il senso di impotenza che si prova sapendo sola nel momento più terribile la persona che ami e che avresti voluto proteggere”.
IL GIORNO DELLA STRAGE DI CAPACI
Alba Torrasi ricorda tutto di quel giorno. Lavorava in un negozio vicino al ponte di via Belgio, ha sentito il botto, un cliente dice che “hanno fatto saltare in aria il giudice Giovanni Falcone”: “Io non sapevo che Rocco fosse con lui, ma mi aveva chiamato poco prima dall’aeroporto, salutandomi con le parole che mi sono rimaste dentro: ‘Ci vediamo stasera amore’, mi ha fatto capire che doveva chiudere in fretta. I tempi coincidevano e io mi sentivo una costrizione al petto come se qualcuno mi stesse stringendo fino a impedirmi di respirare.
Avrei voluto andare da lui, ma non me l’hanno permesso. Le parole che mi dicevano che non c’era più le ho sentite alle quattro di notte, quando sono riusciti a farmi bere un tranquillante. Per sfinimento sono crollata in un sonno profondo, abbracciando il cappello di Rocco: in sogno ho visto il suo volto in una luce e mi ha baciata. Non mi ha lasciata senza un saluto“.
Le famiglie di Alba Terrasi e Rocco Dicillo sono rimaste legate: “La mamma di Rocco mi tratta ancora come una figlia, mio padre sostituisce la foto di Rocco sull’albero Falcone ogni volta che si sciupa”, ricorda Alba. Così hanno deciso di ricordarlo nel libro Oltre Capaci, scritto da Francesco Minervini. Un gesto d’affetto “per rendergli la sua quotidianità, la sua umanità, sempre liquidata nell’anonimato, come se gli uomini la scorta non avessero avuto una vita né lasciato mamme, mogli, figli dietro di sé. Mi arrabbio quando leggo ancora il cognome scritto staccato”.
IL RITRATTO DI ROCCO DICILLO
Ecco dunque il ritratto di Rocco Dicillo nelle parole di Alba: un ragazzo solare, che credeva profondamente in ciò che faceva e la spronava a studiare, con un senso profondo delle istituzioni e dei valori della Costituzione, in cui riconosceva i fondamenti della democrazia e della libertà. “Ero una ragazzina spensierata e innamorata, mi ha fatta crescere. Il suo fascino non era solo negli occhi azzurri ma anche nella sua cultura, nell’interessarsi alle cose: a 27 anni era già molto maturo”.
Ora Alba ne segue l’esempio: per lavoro si occupa di formazione per i dipendenti della Regione siciliana anche in tema di anticorruzione e trasparenza. Non ha bisogno di fare pace con i ricordi, perché “non sono mai stata in guerra con il ricordo di un sentimento in cui mi sono sentita amata”, pur nel dolore della memoria di un corpo “che hai potuto riconoscere soltanto dalle mani”.
Ci è voluto del tempo per capire “come avrei rimesso insieme la mia vita saltata in aria. Ci sono stati momenti in cui ho avuto bisogno di sentire il dolore scorrere a fondo dentro di me, di non reprimerlo”. Per un po’ di tempo ha chiesto a Dio: Perché a quelli che stavano dalla parte del bene?, “anche se non mi sono mai sentita abbandonata da Lui”.
LA FEDE E LA MEMORIA, PER ONORARE ROCCO DICILLO
La fede dunque l’ha aiutata ad andare avanti, così come per la madre di Rocco Dicillo: “Ce lo siamo chieste tante volte dopo: come abbiamo fatto ad andare avanti? Per una madre è ancora più difficile. Lo fai anche per fede, perché credi che da qualche parte resti qualcosa di chi se ne va; perché se non lo ricordiamo noi nessun altro può farlo. E per rispetto della vita, perché senti di doverla vivere fino in fondo anche a nome di chi non ha potuto”.
La vita dunque che non si arrende davanti alla morte e al male dell’uomo, testimoniato dallo sguardo di Alberto, un bambino di sette anni che è il figlio di Alba Terrasi: “Sa che Rocco è una persona che non c’è più da molto prima che lui nascesse, cara alla sua mamma”.
La memoria va avanti, anche con bambini per i quali il 1992 è ovviamente un concetto lontanissimo: “A scuola con parole semplici, adatte alla sua età, ha già sentito parlare della strage di Capaci e penso che sia giusto così. Rocco e gli altri sono morti lavorando per dare anche ai bambini come mio figlio un mondo più sano in cui crescere”.