QUOTA 100 INCOMPATIBILE CON PARTITA IVA
Attraverso una risposta fornita a una lettrice del sito di Repubblica, la Fondazione Studi consulenti del lavoro ricorda che i guadagni conseguiti tramite l’attività con partita Iva non sono compatibili con Quota 100, la misura di riforma pensioni in vigore dallo scorso anno. “Si ricorda che qualsiasi attività lavorativa, autonoma, dipendente o imprenditoriale esercitata comporta dopo la decorrenza della pensione in Quota 100 la perdita delle rate di pensione in ogni anno d’imposta in cui si viola il divieto di cumulo, fatta eccezione solo per i redditi di lavoro autonomo occasionale entro la soglia massima annuale lorda di 5.000 euro. Nessuna attività con partita Iva risulta dunque compatibile, a prescindere dai ricavi”. Di conseguenza, come nel caso della lettrice, bisognerà opportunamente valutare la scelta circa la presentazione o meno della domanda di Quota 100 se si è titolari di partita Iva, tenendo in ogni caso conto che non si perderebbe il diritto ad andare in pensione, ma solamente a ricevere le rate della stessa.
LA NOTA DELL’USB BASILICATA
Si sta parlando molto in questi giorni degli effetti delle misure di riforma pensioni che hanno portato al sistema contributivo pieno, con tutto quel che ne consegue anche a livello di importo dei futuri assegni. In tal senso val la pena segnalare quanto evidenziato da Rosalba Guglielmi , del Coordinamento regionale Usb Basilicata, in una nota riportata da basilicata24.it a proposito della possibilità di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili. “Veniva consentito agli Enti, che per anni si erano nascosti dietro l’impossibilità di procedere alle assunzioni per i vincoli posti dalla normativa, di procedere finalmente a dare stabilità e dignità di lavoratori alle persone utilizzate per tanti anni senza alcun diritto se non quello, raggiunto anche in ritardo, di un riconoscimento previdenziale figurativo, che stante ormai il calcolo contributivo delle pensioni, ha ben poco significato”, scrive Guglielmi, evidenziando però che sono “tanti gli enti che hanno risposto, ma altrettanti che si sono fatti scivolare l’opportunità”.
PENSIONI, UIL “GOVERNO STERILIZZI CROLLO PIL”
«Il Governo deve sterilizzare subito gli effetti negativi che la caduta del Pil ha sulle pensioni future» è il intervento netto del segretario confederale della Uil, Domenico Proietti. Dopo il denunciato rischio tagli sugli assegni pensionistici nei prossimi mesi a fronte della crisi economica, la necessità di una riforma anche delle pensioni per evitare il collasso nazionale si fa sempre più stringente. «Se da una parte la rivalutazione del montante contributivo dei futuri pensionati non può essere inferiore all’1%, a seguito delle modifiche del 2015, è altresì vero – ha ribadito Proietti in una nota – che eventuali differenze saranno recuperate negli anni successivi con effetti negativi sul futuro previdenziale dei lavoratori. Parallelamente gli effetti della crisi impatteranno anche sulla rivalutazione delle pensioni in essere». E infine è ancora il segretario confederale Uil a sottolineare come fin da subito sia urgentissimo che il Governo intervenga «sia per il calcolo della rivalutazione del montante contributivo sia per l’individuazione dell’indice di rivalutazione delle pensioni erogate. Questo è un primo modo concreto di aiutare i pensionati presenti e futuri». (agg. di Niccolò Magnani)
IL RISCHIO PER LE PENSIONI FUTURE
La crisi da coronavirus, oltre a determinare un crollo del Pil, determinerà, tramite esso (il Governo stima un -8% quest’anno), una discesa dell’importo degli assegni pensionistici. Quello che sembra il risultato di una delle misure più odiose di una riforma pensioni viene spiegato dal Messaggero, specificando che l’effetto si ha sugli assegni futuri. “L’impatto per ora è contenuto, anche se non trascurabile, con una riduzione lorda dell’assegno futuro che può arrivare a sfiorare il 3 per cento nel 2023 ma è poi destinata ad accentuarsi e comunque a permanere nel tempo”. “La legge Dini prevede che i contributi versati per gli anni compresi nel nuovo metodo di calcolo, prima di essere trasformati in rendita, siano via via rivalutati con un tasso di capitalizzazione dato dalla crescita media del Pil nei cinque anni precedenti”, aggiunge il Messaggero, evidenziando quindi che, per l’esistenza di uno sfasamento temporale, gli effetti del crollo del Pil di quest’anno saranno considerati per quanti andranno in pensione dal 1° gennaio 2022.
IL DIBATTITO SU UNA TASSA SUGLI ANZIANI IN BELGIO
La pandemia di coronavirus ha colpito pesantemente soprattutto la fascia di popolazione più anziana, ma, secondo l’economista belga Jan-Emmanuel De Neve, a pagare il prezzo più alto dal punto di vista economico della crisi sono i giovani. Per questo, come spiega ilformat.info, dal suo punto di vista le generazioni più anziane dovrebbero accettare di essere soggette a “una tassa una tantum, da utilizzare per attutire il colpo della pandemia sulle prospettive dei giovani”. Un’ipotesi contro cui si è anche scagliata l’esperta di pensioni dell’Università di Lovanio, Marjan Maes: “Una tassa sugli anziani mi sembra tutt’altro che uno strumento efficace per migliorare il benessere mentale e le opportunità dei nostri figli e quello dei genitori che lavorano da casa”. Tuttavia a suo modo di vedere sarebbe utile ridurre le agevolazioni fiscali sulle pensioni più alte e occorrerebbe “un effettivo aumento dell’età pensionabile, per garantire che i costi futuri siano equamente ripartiti tra le generazioni”. Un dibattito al momento tutto belga.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI SARA CARNAZZA
In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore, Sara Carnazza ricorda che “il numero di lavoratori con più di cinquant’anni è aumentato vertiginosamente negli ultimi quindici anni, portando la quota sul totale degli occupati dal 20% nel 2004 al 38% nel dicembre 2018”. La Ricercatrice del Centro di ricerca sul Lavoro “Carlo Dell’Aringa” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Crilda) evidenzia che le scelte di riforma pensioni in Italia “sono state fino ad ora schizofreniche, puntando da un lato ad un allungamento della vita lavorativa e dall’altro facilitando l’anticipazione del pensionamento, fornendo alle aziende un’alternativa alla gestione dell’invecchiamento della forza lavoro e offrendo ai lavoratori incentivi per un pensionamento anticipato”.
I PROCESSI DI AGE-MANAGEMENT ALL’ESTERO
L’autrice cita poi esempi, provenienti dalla Germania, di processi di age-management che hanno consentito di aumentare la produttività aziendale, grazie anche al fatto che i “lavoratori maturi presentano risultati migliori in molti task anche grazie a diversi tipi di abilità cognitive che emergono con l’età, a discapito di altre”. Per Carnazza, “con un’età media in rapida crescita la possibilità e necessità di rimanere attivi nel mondo del lavoro più a lungo sono sempre più evidenti”. Fortunatamente, aggiunge, nonostante “gli interventi legislativi italiani talvolta rappresentino un ostacolo piuttosto che un incentivo, accorgimenti e progetti rivolti al crescente numero di lavoratori over 50 sono numerosi e diffusi anche in Italia”.