Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky interviene sulle colonne de La Repubblica per indicare il ruolo della Costituzione nella pandemia di Coronavirus: i doveri dello Stato in una fase come questa sono innanzitutto quelli di tutelare la vita e la salute, “fondamentale diritto dell’individuo” e “interesse della collettività”. Secondo Zagrebelsky dunque proprio alla Costituzione “possiamo rivolgerci per cercare una strada e districarci nelle difficoltà del presente e di quelle che verranno in futuro”.
La salute viene al primo posto in quanto “diritto ugualitario che riguarda tutti” e che “nei casi estremi, si confonde col diritto alla vita”. Questa uguaglianza in termini di principio non vuol dire però che siamo tutti “sulla stessa barca”, nemmeno con il Coronavirus: “La salute è forse il termometro che più fedelmente registra le ingiustizie sociali“.
Ecco perché la salute è l’unico caso nella nostra Costituzione in cui un diritto individuale è considerato anche come interesse generale. Le riforme degli anni Settanta portarono all’istituzione del Servizio sanitario nazionale, grazie al quale la salute “diventava uno dei compiti primari dello Stato, finanziato con risorse alle quali ognuno di noi deve contribuire pagando imposte e tasse”. Nei decenni successivi tuttavia si è registrata un’inversione “nelle politiche pubbliche e ancor più profondamente, nella cultura e propaganda politica”.
DIRITTO A VITA E SALUTE: STATO SOCIALE DECISIVO
Zagrebelsky descrive il processo con cui lo “stato sociale” è diventato “sinonimo di assistenzialismo e paternalismo che avrebbe addormentato la società” e un peso allo sviluppo. Identificate le società più prospere come quelle “che lasciano i poveri, i vecchi, gli ammalati al loro destino“, ecco che proprio la salute si è trovata al centro dei tagli alla spesa pubblica, secondo una visione per la quale “prendersi cura è solo pietismo” e ognuno “dev’essere artefice del proprio destino; imputi a sé stesso le proprie disgrazie”.
Le risorse pubbliche vengono dunque indirizzate dove sono più produttive. Gli Stati ultra-liberisti hanno imposto così la loro ideologia efficientistica basata sul “darwinismo sociale”, annota ancora Zagrebelsky. “Nessuna remora, nessuna pietà: per il bene dei migliori, che ce la fanno da sé, non possiamo permetterci di preoccuparci dei deboli, che soli non ce la fanno” – vedi ad esempio l’idea dell’immunità di gregge.
Lo Stato sociale è invece il rovesciamento di questa ideologia: lo Stato “assume come suo compito prioritario la protezione della vita di tutti e, in primo luogo, di coloro che non ce la fanno da soli”, nei limiti delle risorse, cercandole e, eventualmente, spostandole da capitoli di spesa meno importanti o forse superflui. Una questione “non di impossibilità ma di priorità”.
DIRITTO A VITA E SALUTE: COSTITUZIONE RIFERIMENTO
Il mondo dopo il Coronavirus secondo Zagrebelsky sarà “secondo ciò che vorremo essere e avremo imparato a non essere”, dunque una risposta politica in una lotta per l’uguaglianza in cui l’aspetto culturale avrà un’importanza decisiva. Per il giurista bisogna dunque lottare contro l’ideologia che “vuole il diritto dei più forti di prevalere sui più deboli“, che si basa su un nucleo: “che non tutte le vite hanno il medesimo valore“.
Tante volte succede già: Zagrebelsky annota gli esempi di vite non salvate perché sarebbero un peso per noi, come gli anziani non più “produttivi” e anzi costosi perché richiedono misure di previdenza. Pesare il valore delle vite è uno “sbandamento culturale”, abbandonando gli anziani o richiudendoli in insediamenti “dedicati”, perché s’infettassero tra loro. Prosegue il giurista: “Scelte tragiche, ma ancor più tragico è che vi sia chi ha detto che alcune vite, quelle giovani, valgono più di quelle vecchie”.
I medici si dovrebbero prestare a questo che va contro la loro etica? La Costituzione ecco che deve dunque essere punto di riferimento: ci dice – elenca il giurista – che la vita e la salute sono valori primari che valgono per tutti; che la vita d’ogni essere umano ha la medesima dignità e non può essere pesata, cioè relativizzata chissà secondo quali parametri; che le spese destinate alla salute devono stare in cima alla lista e non in fondo come un residuo; che lo stato sociale non può sacrificarsi a nessun idolo produttivistico.