Luciano Violante, in qualità di magistrato, giurista e politico, è la persona perfetta per giudicare la situazione attuale della giustizia in Italia e del ruolo della stampa. Ne ha parlato in una lunga intervista con Il Riformista, nella quale ha sottolineato che ha sempre mantenuto distinta questa tripartizione.
Luciano Violante a 22 anni si laurea, fa il concorso da magistrato e lo vince. Nel 1976 il Pci lo vuole candidare alla Camera ma rifiuta, perché “politica e magistratura sono piani che non possono sovrapporsi“. Più tardi accetterà questa offerta e sarà una svolta: “Non esistono porte girevoli: chi abbraccia la politica non può e non deve tornare ad amministrare la giustizia, io feci una scelta e non sono tornato più indietro”.
Luciano Violante ricorda che furono gli anni di piombo a cementare il rapporto tra il Pci, che era stato il partito più impegnato contro il terrorismo, e i tanti magistrati che rischiavano la vita ogni giorno. Allora però non vi erano baratti. Un altro spartiacque fu Mani Pulite, da quel momento la fonte primaria per i giornalisti sono diventate le Procure: “I giornalisti ricevevano dagli uffici giudiziari sempre più informazioni di quelle che immaginavano di trovare. Si realizzò un’intesa tra le testate, una sorta di agenzia stampa collettiva. E da allora quel rapporto si è consolidato, anche perché facilita entrambi. Le carriere da separare rimangono quella tra giornalisti e pubblici ministeri”, analizza Violante.
VIOLANTE: “IN ITALIA DELEGA DI GOVERNO ALLA MAGISTRATURA”
Mani Pulite fu punto di passaggio verso un nuovo sistema politico: “L’imprenditoria italiana decise di non pagare più – analizza Luciano Violante -, perché dopo la fine del regime sovietico non servivano più dighe anticomuniste da pagare. Si aprì così la valanga di Tangentopoli, non solo per l’azione dei magistrati o per una qualche inchiesta giornalistica. Prima i processi nascevano dalle inchieste. Da quel momento avvenne il contrario. Tutt’oggi avviene il contrario” e questa è senza dubbio una stortura della giustizia italiana.
Da allora i magistrati fanno politica: “La magistratura oggi è parte del sistema di governo del Paese, e non per suo arbitrio: per effetto dei poteri che le sono stati dati. Partiti e Parlamento hanno approvato leggi che regolano tutto, controllano tutto, sorvegliano tutti. Questa è stata una delega di governo alla magistratura: vuole che il magistrato meno responsabile non si comporti come un organo politico? Quel magistrato ha mutuato la lingua volgare e violenta della peggiore politica“.
Altro tema caldo è la riforma del Csm: Luciano Violante suggerisce che il vice-presidente sia designato dal presidente della Repubblica “per sottrarlo a logiche pattizie” e porterebbe gli anni di funzione da 4 a 6. “Come per la Corte Costituzionale: non eleggere l’organo, ma i singoli componenti. A metà del primo periodo si sorteggiano la metà dei componenti che scadono subito e si procede alla elezione dei componenti che devono subentrare; e man mano che i singoli scadono si eleggono i nuovi membri, così è più difficile fare accordi spartitori”.
VIOLANTE: I CASI DI MATTEO-DAP E OPEN ARMS-SALVINI E L’ATTENTATO A FALCONE
Sul caso Di Matteo-Dap, questa è l’analisi di Luciano Violante: “Il fatto che i boss non sarebbero stati contenti di Di Matteo al Dap era un fatto noto tanto al ministro quanto al dottor Di Matteo al momento della proposta. I due posti non erano equivalenti: il capo del Dap è un ruolo di prestigio, mentre alla direzione generale degli Affari penali non sei il numero uno. Quel ruolo è molto diverso oggi, dai tempi di Falcone. Penso che si siano fatte valutazioni interne. Non sono un fan del ministro Bonafede, ma non mi pare che qui abbia sbagliato”.
Sul caso Open Arms-Salvini “avrei letto con attenzione le carte”. Ribadisce la validità delle sue parole da presidente della Camera sulla liberta come “necessità di contrastare chi ha un eccesso di potere dominante”. Da ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Luciano Violante rievoca anche l’attentato all’Addaura.
Subito dopo, pranzò con Giovanni Falcone, che era particolarmente teso e molto preoccupato: “Parlò di una intelligenza di livello diverso e certamente superiore rispetto a quello delinquenziale e di una carica esplosiva molto forte. Non era un avvertimento ma un attentato cui scampò per puro caso”, senza però fare nomi di sospetti.
VIOLANTE: “COSA SERVE PER RENDERE GIUSTA LA GIUSTIZIA”
Il sistema di favoritismi e di complicità tra politica, istituzioni, magistratura e informazione non è un fenomeno nuovo, ma secondo Violante “è andato degenerando. Non è un problema di correnti ma di capi corrente, duplicazioni di correnti politiche con le stesse logiche, ma con meno senso delle istituzioni”. Il rischio è che si finisca per fare carriera per appartenenza correntizia.
Per rendere giusta la giustizia, Violante suggerisce una “ripresa del senso di responsabilità all’interno e all’esterno della magistratura”, con un punto di fondo: “Non si indaga per sapere se c’è una notizia di reato, ma perché c’è una notizia di reato. Lo Stato democratico dà il potere a un magistrato di indagare su una persona, sulla sua libertà, sui suoi beni, in base a presupposti certi. Mi muovo se c’è una precisa notizia di reato, non perché c’è un sospetto di notizia di reato”. Magistrato e giornalista “devono prestare più attenzione alla reputazione dei cittadini e delle istituzioni. Troppe volte risulta che i sospetti erano infondati, ma la reputazione è già stata distrutta. È un problema di civiltà”.
Infine attenzione alla criminalità organizzata, con la crisi che morde: “La mafia sta cercando di investire al Nord, presentandosi come soggetto sostenitore delle aziende in crisi. I soldi ci sono, a differenza del passato, bisogna accelerare al massimo. Tu Stato, inizia a darli: uno Stato che non si fida dei suoi cittadini, suicida se stesso. Chi ha sbagliato pagherà, ma nel frattempo si evita che a pagare siano tutti gli altri”.