Sono stato messo in allerta da un amico che mi ha comunicato che l’articolo pubblicato sul Sussidiario il 12 marzo scorso ha avuto i suoi effetti, ma non nel senso da me auspicato di restituire in qualche modo all’Italia il maltolto, bensì quello di adottare contromisure per imbavagliare l’economia italiana per sempre, inducendola a piegarsi ai debiti stranieri. Purtroppo per noi, due sono le ipotesi: la prima è che si siano messi al timone della nave degli incompetenti, la seconda è che gli stessi al timone della nave della prima ipotesi siano folli che godono della sofferenza dei propri simili. Le due opzioni riconducono, in realtà, al medesimo risultato.
La Commissione europea, temendo il crollo dell’Eurozona – anche a seguito della recente pronuncia della Corte costituzionale tedesca – e non volendo perdere il suo bancomat, vuole verosimilmente costringere a firmare, per intanto, i primi fondi necessari, i Recovery fund, in modo da vincolarci alle condizionalità dell’istituzione privata Mes, per poi eventualmente renderci partecipi della distribuzione dei fondi raccolti sul mercato sotto l’egida dell’Unione, alcuni promessi a fondo perduto, altri gravati di un interesse che dovrebbe essere ridotto rispetto alla capacità di raccolta italiana.
Invito i lettori alla riflessione: dove prende la Commissione europea i fondi? Li crea dal nulla come potrebbe fare la Bce e il sistema associato delle banche centrali? No, li raccoglie dal mercato, quindi vanno restituiti, per cui gli oneri della restituzione andranno a gravare sui posteri. Non è una soluzione!
Lo dimostra la circostanza che la Bce ha lanciato l’allarme della risalita del rischio di default nell’Eurozona da parte dei Paesi gravati da maggior debito pubblico. Il riferimento non può che rappresentare una minaccia per indurre il governo italiano a sottoscrivere il ricatto del Mes nel più breve tempo possibile.
Occorre agire subito e la soluzione l’ho già indicata nel lontano 2011 per impedire che il sistema Italia fosse sottoposto a un aumento di tassazione. Purtroppo, allora ci fu un muro di gomma e iniziammo, dall’anno successivo, a subire l’azione di governi nominati dal Presidente della Repubblica senza una base elettorale, essendo peraltro stata dichiarata incostituzionale la legge con la quale i rappresentanti politici avevano occupato i seggi del Parlamento.
Ora occorre uno sforzo maggiore: offrire ai cittadini italiani la possibilità di abolire per sé e i loro successori le imposte dirette in cambio della sottoscrizione di titoli del debito pubblico a tasso di interesse contenuto (0,5% semestrale) di durata trentennale per un importo multiplo delle imposte dirette pagate nel 2019. L’adesione di tutti i cittadini che non avessero le disponibilità per sottoscrivere detti titoli di Stato verrebbe facilitata dalla disponibilità del Mediocredito Centrale (banca pubblica italiana) e delle banche, possibilmente di proprietà italiana, che sottoscrivano il protocollo di adesione con lo Stato.
Lo sviluppo contabile di tale iniziativa e i dettagli li ho già resi pubblici, ma i numeri creano problemi, pertanto mi limito a riportarne, riassunti, i risultati: si aboliscono le imposte dirette, conseguentemente aumentano le disponibilità degli italiani per le spese e il Tesoro dello Stato si troverebbe a gestire una liquidità tale da poter restituire tutto il debito pubblico particolarmente oneroso, sostituendolo con quello proposto e avviare un programma di investimenti pubblici attraverso una nuova Iri. Nello stesso anno, perciò, lo Stato, tra risparmi e nuove entrate per imposte indirette, avrebbe un miglioramento significativo del bilancio pubblico, ottenendo per la prima volta un avanzo di bilancio da destinare a nuovi investimenti, dando così avvio a un volàno di nuove entrate che porteranno alla possibilità di estinguere il debito pubblico e, successivamente, di incidere sull’entità della tassazione indiretta.
E’ una scelta politica. O i politici cambiano opinione sul modo di indebitarsi o, cari lettori, siete stati avvisati. Datevi da fare.