Dopo la revisione al ribasso dell’Istat sul Pil del primo trimestre e la previsione della Banca d’Italia, arrivata a ipotizzare una caduta del 13% del Prodotto interno lordo quest’anno, ieri il Centro Studi di Confindustria ha stimato una diminuzione della produzione industriale, nel secondo trimestre, superiore al 20% rispetto all’inizio del 2020. Numeri che arrivano all’indomani delle dichiarazioni del Presidente di viale dell’Astronomia, Carlo Bonomi, che ha espresso la preoccupazione del mondo imprenditoriale per una “politica dello struzzo” che rischia di “fare peggio del Covid”. Abbiamo chiesto un commento a Marco Fortis, Direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano.
Professore, cosa pensa anzitutto delle misure finora messe in campo per fronteggiare la crisi?
Sicuramente c’è stata una risposta sia italiana che europea alla crisi. Quella italiana si è basata sul fatto che la sospensione del Patto di stabilità e crescita ha consentito di varare degli interventi di emergenza, con carattere lenitivo del disastro economico generato dalla pandemia, perché riguardano gli ammortizzatori sociali o interventi di ristoro per piccole attività imprenditoriali. L’impressione è però che il vero motore che può far ripartire il Pil non può che essere un piano di investimenti.
Perché ha questa impressione?
Il Centro Studi di Confindustria ci ha appena parlato di un rimbalzo a maggio della produzione industriale del 31,4% rispetto ad aprile, quando c’era stata una caduta del 24,2% mese su mese. Rispetto a un anno fa, a maggio abbiamo in ogni caso un -33,8%. Per l’industria il vero problema resta quello della domanda, in particolare quella estera che difficilmente ripartirà prima di settembre. Sul fronte interno abbiamo quindi una criticità messa in luce dai dati Istat sul Pil del primo trimestre: le componenti tradizionalmente più importanti, i consumi e gli investimenti in macchinari, sono quelli che hanno però sofferto di più.
Durante il lockdown gli italiani hanno però comunque fatto molti acquisti…
I consumi non sono solo di beni, ma anche di servizi e quindi con il turismo, la ristorazione e altri settori completamente fermi, è chiaro che abbiamo un problema di perdurante difficoltà sui consumi che può essere risolta solo con una ripresa del potere di acquisto. Ma questo è logorato dal potenziale aumento della disoccupazione, ancora tutto da manifestarsi, specie per lavoratori indipendenti, professionisti, artigiani, negozianti e piccole attività dei servizi. Lo scenario mi sembra irrisolvibile nel breve termine: fintanto che ci sarà una pressione così forte sull’occupazione è difficile che i consumi possano riprendere.
Non possono essere utili strumenti di incentivazione come il bonus vacanze?
Il bonus vacanze è uno stimolo veramente minimo, anche perché è stato fatto con un criterio quasi pauperistico, nel senso che viene erogato in base al reddito. Se si voleva stimolare veramente una ripresa del turismo bisognava anche agire sul ceto medio e medio-alto. C’è il rischio quindi che grandi alberghi, grandi strutture, normalmente non frequentate da persone che riceveranno il bonus, rimangano chiusi questa estate.
Passando dai consumi agli investimenti, anche qui la situazione è così nera?
Gli investimenti privati, che avevano battuto ogni record negli anni precedenti grazie soprattutto a Industria 4.0 e super ammortamento, è difficile che oggi possano riprendersi se non con un forte piano in continuità con Industria 4.0 stessa, di cui però non si vede l’ombra. Le poche imprese che potrebbero ancora fare investimenti importanti in tecnologia e ammodernamento degli impianti non ricevono nessuno stimolo a farli. Cosa che invece avviene per gli investimenti in edilizia.
Si riferisce ai bonus ristrutturazione che sono stati anche potenziati con il decreto rilancio?
Sì, per gli investimenti in costruzioni privati si tratta di uno stimolo potenzialmente importante e c’è da sperare che possa funzionare per contribuire a tamponare la caduta del Pil. Per gli investimenti pubblici continua invece a mancare un piano sulle grandi opere, nonostante se ne sia parlato tanto e vi sia da ottobre una proposta ragionevole di Italia Viva. Non si potranno certo fare migliaia di grandi opere con il sistema ponte di Genova, ma almeno altre 10-15 opere con il metodo dei commissari, della sospensione dei ricorsi al Tar, ecc., vanno fatte.
E per tutte le altre?
Serve una semplificazione della burocrazia, delle autorizzazioni, come hanno evidenziato recentemente Stefano Micossi e Marcello Clarich, anche per far venire meno le possibili preoccupazioni penali in capo ai dirigenti dei ministeri o degli enti locali nell’autorizzare le opere o i casi di abuso di ufficio che disincentivano la decisione di firma di questi funzionari. Diversamente, anche se arrivassero tante risorse dall’Europa, c’è il rischio di non vedere partire i cantieri.
Diventa quindi cruciale il decreto semplificazioni che il Governo ha già annunciato come prossimo provvedimento da varare.
Assolutamente. Anche per l’edilizia privata, perché se ci sono degli incentivi, ma poi iniziando la pratica si incontrano delle difficoltà, si è portati a rinunciare. In questo momento l’edilizia privata e pubblica può essere cruciale per smuovere il Pil, ma occorre che non ci siano blocchi burocratici e autorizzativi.
Cosa pensa della risposta arrivata dall’Europa, anche tramite l’annuncio sul Next Generation EU?
Mentre la crisi del 2009 è stata in qualche modo subita senza capacità progettuale di reazione e quella del 2011 risolta solo dall’intervento di Draghi, oggi, forse anche per un atteggiamento mutato della Germania, consapevole delle grosse difficoltà che ha, visto il suo modello economico export oriented, dall’Europa sono arrivati segnali importanti. C’è il Sure, c’è il Mes sanitario cui ricorrerei immediatamente, e ora anche il Next Generation EU. Il problema però è che questi soldi non vanno sprecati ma utilizzati bene, vanno destinati a scopi importanti.
Per esempio?
Dotare tutto il Paese di un’infrastruttura fondamentale, come abbiamo visto durante il lockdown, quale la banda larga, completare le reti ferroviarie e stradali, anche per offrire collegamenti migliori ai turisti stranieri che comunque torneranno nel nostro Paese. Abbiamo bisogno di nuova Autostrada del sole, che è stato non solo un motore di sviluppo, ma anche di accorciamento delle distanze, di aumento di dinamismo delle imprese. Oggi quindi non possiamo sprecare l’occasione che ci è data con questi fondi europei. Serve una strategia di ripartenza, che al momento ancora non vedo. Gli unici rivoli che si vedono sono quelli assistenziali.
Comunque necessari vista l’emergenza.
Certo, ma non creiamo posti di lavoro, e quindi ripresa dei consumi, con l’assistenzialismo: bisogna creare più Pil. Oggi questo lo possiamo fare principalmente con grandi opere e infrastrutture, edilizia privata, una riforma amministrativa cruciale, le depenalizzazione di tutti gli interventi di autorizzazione. Misure da attuare immediatamente.
Non possiamo quindi aspettare settembre come dice Gualtieri per un Piano per la ripresa…
No, non esiste. Gualtieri si sta dando molto da fare, per carità, ma qui il problema è che tutto il Governo deve cercare di compattarsi intorno a un progetto, anche solo individuando 10-15 opere cruciali da far partire rapidamente con dei commissari. Se non si compie questo passo, c’è il rischio di non sfruttare opportunamente tutte le risorse di cui possiamo disporre. Il Covid-19 impone un superamento delle divisioni politiche. Se non ci muoviamo, rischiamo una recessione epocale.
Visco ha in effetti parlato di possibile Pil a -13%.
Non è certo un numero campato per aria. Basta guardare la previsione del Centro Studi di Confindustria, secondo cui la variazione acquisita della produzione industriale nel secondo trimestre è del -27,7% rispetto al primo, quando era già diminuita dell’8,4% sul quarto trimestre 2019. Se anche in giugno procedesse la lenta ripresa della domanda, secondo il Csc, nella media del secondo trimestre si avrebbe comunque una riduzione di oltre il 20% dell’attività, quasi tre volte la dinamica registrata a inizio anno. E questo calo comporterebbe un contributo negativo di circa cinque percentuali alla diminuzione del Pil nel secondo trimestre. Quindi se già nel primo trimestre siamo scesi di oltre il 5%, si vede bene che la stima della Banca d’Italia non è campata per aria. Questi numeri ci mandano un segnale importante.
Quale?
Occorre far partire rapidamente, entro il 2020, 15 opere pubbliche per tamponare questa caduta dell’economia. Con l’industria che non esporta e non produce, gli italiani che non consumano, il turismo in crisi, non ci sono altre soluzioni. Occorrono investimenti in edilizia e opere pubbliche in attesa della ripresa di manifattura e servizi, anche perché creano uno straordinario indotto di domanda interna.
(Lorenzo Torrisi)