La religiosità negli italiani rimane anche se più confusa e non “chiara” come poteva essere nel passato: è un’analisi duplice quella che Franco Garelli, sociologo delle religioni compie all’interno del suo ultimo saggio “Gente di poca fede”. Ne ha parlato lo stesso autore in una lunga intervista su “La Verità” a firma Stefano Filippi spiegando come da un lato di assiste oggi al calo effettivo della pratica religiosa, ma dall’altro rimane comunque un seppur velato rapporto con il Mistero. E non è poco essendo ormai nel pieno secolarismo da decenni: «è una fede incerta, meno granitica ma anche meno data per scontata», condizionata dagli alti e bassi «della vita quotidiana». Così Garelli spiega come al netto di tutto, permane un legame con Dio: «resta il sentimento religioso», anche se i praticanti regolari sono ormai il 22%, con un 60% invece che afferma di avvertire la presenza di Dio nella propria vita in alcune circostanze.
Secondo Garelli, la gran parte dei cattolici in Italia – o di chi si dice tale – avverte comunque la presenza tutt’ora stabile di una relazione con il sacro, «è un rapporto diretto anche se non immediato. […] anche nel periodo dell’isolamento la gente ha avvertito di essere sotto una sacra volta come dimostrano gli ascolti tv per le messe di Papa Francesco». Il sociologo delle religioni lo sottolinea come aspetto positivo nel marasma della quotidianità: «la fede persiste anche se oggi non viviamo più in un mondo di destino ma di scelta». Sebbene non si possa parlare di cattolicesimo di popolo – l’ateismo cresce – resta comunque un legame stabile con il cattolicesimo che Garelli definisce «culturale»: c’è un 20% di cattolici impegnati che proseguono in una vita di relazione tra famiglia, opere sociali e scuole, ma vi è un 40-50% degli italiani cattolici che «rimangono ancorati ai valori della tradizione per un fattore identitario in rapporto alla presenza interreligiosa e multiculturale, più che per specifiche istanze religiose o spirituali».
GIRELLI E LA RELIGIOSITÀ DELLA CHIESA
Il fattore da positivo scala a preoccupante quando Garelli inquadra la problematica sulla convinzione sempre più frequente anche tra i credenti che si possa essere cattolici «senza seguire le indicazioni della morale familiare espressa dalla Chiesa». Traducendo in termini semplici, i valori cattolici indennitari restano altamente rispettate anche se spesso non trovano “spazio” nelle convulse e caotiche vite quotidiane. Secondo l’analisi di Garelli nel suo ultimo saggio il rapporto con la Chiesa è ambivalente visto che da un lato la si vorrebbe lontana dalle proprie vite e comunque ritenuta vecchia e “malandata”, ma dall’altro «si vuole che presenti le sue posizioni perché rappresenta un punto di riferimento, anche se poi non è detto che venga seguita». Niente distanze eccessive ma neanche vicinanze adeguate: si vive in un «secolarismo dolce» che nemmeno Papa Francesco sta riuscendo a “sfondare”: «la maggioranza ha un giudizio favorevole ma non uniforme», spiega Garelli a “La Verità” traendo il fulcro della sua riflessione, «Francesco colpisce per la sua predilezione del popolo, l’immediatezza della comunicazione, il rapporto diretto, le aperture nel campo etico e la volontà di semplificare».
Questo elemento però, sottolinea Garelli, colpisce la gente ma non la avvicina alla Chiesa e non aumenta la fede: «più della metà dichiara che questo Papa avvicina al discorso religioso ma questo rimane più un’intenzione che un reale cambiamento di vita». Nei fatti, pare dire che l’aspirazione spirituale ad oggi, nel 2020, non si traduce più in una pratica religiosa ma resta più nelle “intenzioni” e magari anche desideri dell’individuo. In conclusione Garelli avverte il timore che in tanti, cattolici e non, il Pontefice oggi venga visto come un “cavaliere solitario” che combatte il sistema di potere e l’intera opera di trasparenza del Santo Padre non sembra invertire ancora questa “rotta”: di contro, per Garelli, risorge l’esigenza di una religiosità popolare che oggi la Chiesa non guarda più con “sospetto” ma come occasione. Questa religiosità «è un antidoto all’intellettualismo della fede: molta gente comune vuole una fede concreta, fatta di preghiere e suppliche, con simboli chiari e con un po’ di folclore come espressione comunitaria».