Fa caldo, l’estate sarà bella. E questo è quasi tutto quel che c’è di buon da dire, in questo 3 giugno della nostra speranza – quella, per fortuna, non muore mai – ma anche del nostro sgomento. Sì, certo: l’Italia riapre, per prendere il treno e cambiare regione non c’è più da procurarsi scuse rocambolesche, ma per il momento i treni viaggiano ancora scarichi, e soprattutto l’economia sociale – quella di una normalità che non può essere “nuova”, se vuole essere davvero normalità – non può riprendere del tutto.
Non si può pensare ai consumi “come una volta”, finché le regole del distanziamento sociale resteranno lì, a trasformare in una coda snervante anche l’acquisto dei francobolli in tabaccheria; non agli spettacoli, né sportivi né d’altro genere, finché gli spalti dovranno essere una specie di groviera di seggiolini vuoti; non all’aperitivo con gli amici, finché pescare le patatine dalla ciotola incuranti che vi abbia appena affondato le dita un estraneo non ricomincerà ad essere un gesto normale.
Ma questo non è colpa di nessuno; il virus – che indubbiamente oggi morde assai meno, ringraziando Dio – ha ucciso quasi 34mila persone, e non si sminuisca l’immane tragedia con disgustose annotazioni anagrafiche. Per arginarlo, impotente la scienza, non c’era che distanziarsi, autoisolarsi. L’abbiamo fatto, è servito, adesso stiamo comprensibilmente sbracando ma almeno in questa fase è evidente che il virus se ne sta andando via da solo.
È tutto il resto di questo dramma che è colpa di qualcuno, di più d’uno, in qualche modo colpa di tutti noi ma di qualcuno in particolare è “più colpa” che non di tutti gli altri.
È innanzitutto colpa del governo l’aver agito in modo così confuso, ma forse è più giusto dirla diversamente: la colpa è stata di aver parlato in modo confuso, perché poi alla fine tutti i governi del mondo hanno fatto pasticci e solo pochi hanno avuto più difficoltà del nostro. Ma gli sprovveduti del Conte 2 si sono comportati al di sotto del minimo sindacale.
Messaggi disguidanti e contraddittori, scelte di comunicazione allarmiste e confusionarie, troppo spazio a una categoria – per semplificare definiamola “dei virologi”, ma è riduttivo – che lungi dal rassicurare con la sintesi chiara che ci si aspetta dagli scienziati, ha aggiunto polemica a polemica, delegittimandosi a vicenda, e questo dal giorno 1, dal paziente 1, fino a ieri, con la polemica tra lo stimabilissimo Zangrillo e il meno stimabile Comitato tecnico-scientifico, composto da gente che proprio per il fatto di farne parte, chiaramente non può rappresentare il meglio delle professioni che vi sono raccolte, perché se così fosse non avrebbe il tempo e la voglia di starsene lì, assorbito come sarebbe in ben altre operatività, insieme più direttamente operative e remunerative. Denaro e santità, la metà della metà ammonivano le nonne, e chi s’infila nelle task-force per la gloria non lo fa per idealismo, lo fa – salvo eccezioni – per il curriculum, il potere e perché non ha di meglio da fare e da guadagnare. Cinismo? Semmai realismo.
Si sa solo che ad oggi il lockdown è stato di sinistra, e la ripartenza di destra.
Ad un’Italia spaccata in tre spicchi – destra, grillini e sinistra – abbiamo oggi aggiunto una spaccatura trasversale tra governo centrale e regioni e una spaccatura valoriale, tra scienziati ottimisti e scienziati pessimisti. E tutti che parlano senza vergogna, compresa l’Organizzazione mondiale della sanità, che sul Covid si è resa ridicola e ancora, lungi da compiere un lavacro di dimissioni di massa, pontifica come se qualcuno le credesse ancora.
Ma la vera colpa del governo, diciamolo, non è stata tanto sulla gestione sanitaria della pandemia, perché – a parte il caso delle Rsa lombarde, su cui qualcuno dovrà pagare anche se vien male a pensare che questo qualcuno dovrebbe trovarlo una magistratura che elegge a proprio rappresentante l’incredibile Palamara – alla fin fine il sistema ha reagito. La vera colpa del governo è stata aggiungere alla devastante montagna del debito pubblico che già ci opprime un’altra montagna schiacciante, quella delle bugie.
Bugie a manetta, talmente spudorate da far pensare che siano state perfino dette in buona fede tanto sconcertante è la divaricazione tra le chiacchiere e i fatti. Bugie che non hanno nemmeno gambe corte, bugie senza gambe, sbugiardate appena pronunciate: tutte le bugie sull’economia, dalla liquidità che non arriva, se non poco, alla cassa integrazione che non viene pagata ancora in tanti, troppi casi, alle speranze sul Recovery Fund, che nella parte “a fondo perduto” pare sia ormai ridotto a poco più di 20 miliardi netti, ed a valere dal gennaio prossimo, mentre per la parte a debito… sarà comunque altro debito.
Nel frattempo chi sperava che la spaventosa emergenza economica – ben -13% di Pil, prevede la Banca d’Italia e 1 milioni di disoccupati strutturali in più, prevede la Confindustria – scuotesse le coscienze dei politici e li inducesse a ricostituire una nuova maggioranza allargata per nominare un governo di eccellenti guidato da Mario Draghi è rimasto deluso. Macché, tutti abbarbicati alla poltrona. E dunque, nessuna speranza di cambiare treno in corsa, nessuna finestra per le elezioni anticipate. Anche Renzi, in cui qualcuno sperava dopo le sue rodomontate contro quell’ectoplasma del Guardasigilli, ha tradito un’ennesima volta, confermando il suo sostegno al governo. Non si sente pronto per misurarsi nelle urne.
Eppure la speranza, si diceva, quella resiste: resiste nella febbrile attività degli italiani che hanno riprese a intraprendere e a lavorare; nella dedizione di una buona parte del pubblico impiego, resiste perfino – ed è quanto dire, visto la discrezionalità assoluta che viene loro concessa – perfino in buona parte dei magistrati; resiste ancora, la nostra speranza, nella capacità di inventare soluzioni nuove per dare un rilancio al turismo, per riprendere a consumare un po’, per aiutarsi un po’ di più l’un l’altro. Ma facendo assolutamente da soli, perché se si aspetta il governo e i suoi illeggibili decreti, non si può che andare sempre più a fondo.
Certo, arriverà il Mes, e sarà necessario prenderli quei soldi; e poi arriveranno i finti 92 miliardi a fondo perduto dell’Unione, in realtà 26 si dice adesso, al netto dei 64 che l’Italia dovrà negli anni spendere per finanziare la sua parte di quei fondi. Ma verranno a condizione che l’Italia faccia riforme serie, quelle che attendono da troppo tempo e che davvero oggi non si vede chi mai sia in grado di farle. E se non le facessimo? Forse sarebbe Troika: davvero un male minore, rispetto al paesaggio lunare di oggi.