Il tempo stringe: la legge sulla sicurezza a Hong Kong, approvata a schiacciante maggioranza dall’Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, sarà ratificata a fine mese dal governo. Tutto il mondo adesso si chiede che cosa succederà. I cittadini dell’ex colonia inglese non sembrano voler smettere di manifestare, una nuova Tienanmen è dietro l’angolo, anche se, come spiega Massimo Introvigne, studioso delle religioni, filosofo e sociologo, “Pechino ha già cominciato a spostare i centri finanziari in città come Shanghai e l’intenzione è rendere Hong Kong meno forte economicamente, ma maggiormente assorbita nel sistema politico cinese”.
Oltre 150mila cittadini di Hong Kong hanno passaporto britannico: la Gran Bretagna ha voce in capitolo su quanto sta succedendo nella sua ex colonia?
La Gran Bretagna cerca di avere voce, ma in realtà la Cina non è disposta ad ascoltare. Anzi, sta cercando di dire che chi ha passaporto britannico e vuole trasferirsi nel Regno Unito compirebbe un atto ostile nei suoi confronti. In realtà, il Regno Unito non ha diritto di trattare un cittadino con il passaporto britannico in modo diverso dagli altri.
In che modo pensa agirà Pechino dopo l’approvazione della legge sulla sicurezza e il prosieguo delle manifestazioni ostili?
Come in tutte le cose cinesi ritengo che il partito comunista non sia monolitico e ci siano diverse opinioni al suo interno.
Quali?
Se uno guarda a quello che è successo all’Assemblea del popolo si rende conto che non tutto fila liscio, soprattutto sulla questione economica. Tuttavia la gestione di Xi Jinping è una linea dura, che non esclude l’uso della forza. Il primo aspetto significativo è che la Cina ha reso nota al mondo questa mossa, poteva attuarla in sordina come ha sempre fatto. L’obiettivo è spaventare i cittadini, soprattutto i giovani, facendo loro intendere che non hanno alcuna speranza, che se scendono in piazza per dimostrare saranno repressi e arrestati, che non potranno più andare all’università. Se questo disegno funziona, non ci sarà bisogno della forza; se invece le dimostrazioni saranno ancora massicce, l’uso della forza sarà tutt’altro che escluso.
Una nuova Tiananmen?
Si vedono già le mosse preparatorie, come l’istituzione di nuove forme di gestione della polizia, simili a quelle adottate in Cina: cosa che non era mai avvenuta. Nel momento in cui sono stati resi noti questi annunci, solo gli Usa, il Regno Unito e l’Australia hanno fatto capire che reagiranno, ma non l’Europa.
Perché?
Dalle dichiarazioni del Commissario agli affari esteri si vede che l’Europa non esprime preoccupazioni e che non c’è alcun accenno alle sanzioni, cosa che è stata salutata con grande favore dalla stampa di regime cinese.
Il mondo occidentale è dunque diviso dagli interessi economici che ciascun paese coltiva con la Cina?
La Cina ha già messo in conto la perdita di Hong Kong da parte degli Usa, mentre una serie di istituzioni economiche sono sul punto di essere trasferite o sono già state trasferite in città come Shanghai. Il regime ha scelto di avere una Hong Kong molto più debole economicamente, ma più integrata al resto del paese. A Hong Kong rimarranno gli europei con investimenti economici, anche qui i cinesi avevano messo in conto qualche protesta, ma niente di più.
Partita chiusa dunque?
Non è detto che la strategia fili via liscia. Al momento gli Usa hanno difficoltà a promuovere coalizioni internazionali per via della personalità di Trump, mal visto un po’ da tutti. Ma una amministrazione diversa potrebbe presentarsi come leadership più credibile di un fronte che faccia pressioni sulla Cina.
La Cina è molto attiva nel suo espansionismo in Europa. Chi può fermarla?
Il problema è dove ci si ferma. La situazione ricorda quella precedente la seconda guerra mondiale, quando il regime nazista non fu fermato dopo aver attaccato un paese e poi un altro. Anche in questo caso si tratta di vedere fino a dove l’Europa sarà disposta ad abbassare la testa. La gran parte degli studiosi pensa che dopo Hong Kong verrà il turno di Taiwan, poi toccherà alle isole contese nel Pacifico, poi al Vietnam e alle Filippine. Se i paesi democratici, tra cui anche Giappone e Corea del Sud, in nome dell’economia si mostrano tiepidi, l’espansionismo cinese non si fermerà. Solo il Regno Unito ha nominato una commissione per lo studio su come ridurre la dipendenza economica dalla Cina. Bisogna ridurre questa dipendenza: se abbiamo un’economia che dipende troppo da Pechino per le esportazioni, le importazioni e la produzione industriale, diventa difficile dire di no su Hong Kong o su Taiwan.
Sganciarsi dalla Cina dal punto di vista economico è la sfida del Terzo millennio?
Il vero problema è costruire economie diverse da quella che conosciamo oggi, che non siano legate. È un problema, come qualcuno ha osservato, che diventa più facile studiare e affrontare dopo il coronavirus.
In che senso?
Ci saranno modi di vivere e di produrre che dovremo cambiare, ci saranno interessi che costringeranno innanzitutto gli Usa e altri paesi – anche se forse alcuni si schiereranno con la Cina, magari anche l’Italia – a consumi e produzioni meno dipendenti dalla Cina. Avremo prodotti più costosi e altri spariranno, ma non è detto che sia un male.
In sostanza, ci siamo condannati con le nostre mani delegando la leadership economica a Pechino?
Il virus ci può insegnare a decolonizzare le nostre importazioni e a fermare un flusso continuo di merci con un paese che non ha gli standard dei paesi europei, il che ci espone a rischi, anche sanitari, come ha detto giustamente Milena Gabanelli in questi giorni. Il problema del contenimento della Cina si risolve solo ripensando il modello economico. Gli Usa, ad esempio, stanno pensando di trasferire molta della loro economia in India, un paese che a parte i problemi con il Pakistan non ha mire imperialiste come la Cina.
A proposito di virus, l’agenzia Associated Press dice di avere in mano documenti che denunciano il ritardo con cui l’Oms, su volontà della Cina, ha annunciato l’epidemia di Covid. Potremo usare quest’arma contro la Cina?
Nel nostro piccolo avevamo pubblicato sul nostro sito molte chat di vari medici, poi rimosse, anche se nulla si rimuove da internet. Possiamo criticare Trump per il suo modo di porsi, ma ha ragione. Il problema dell’Oms che obbedisce a Pechino non è cominciato con l’attuale direttore generale, ma con il precedente, una cinese, che è stata in carica per ben due mandati, cosa già questa impensabile. La Cina ha spinto per avere questa nomina, rinunciando ad altre. Non volevano indagini sulla Sars, volevano stroncare alcuni paesi dei quali temevamo di denunciare l’esportazione di organi dei prigionieri di coscienza. La presenza cinese in questo organismo è capillare. La Cina è il paese che esporta più virus, ed è un problema. Ma l’inchiesta che sta conducendo adesso l’Oms non è una gran vittoria per l’Occidente, perché è fatta dagli stessi cinesi.
(Paolo Vites)