Il comunicato diffuso ieri dal Mef sul piazzamento-blitz di 14 miliardi di Btp decennali è formalmente completo di ogni dettaglio: volumi e condizioni, membri del sindacato di collocamento, tipologia e distribuzione geografica dei sottoscrittori. Tutte le domande tecniche poste dagli usi alla trasparenza dei mercati per un’operazione di questa natura sono soddisfatte: anche se, naturalmente, il fatto che il 23% dell’emissione sia stato sottoscritto da soggetti residenti nel Regno Unito non dice nulla sulla reale provenienza dei capitali investiti (né è significativo che solo l’1,1% sia stato ufficialmente allocato in Asia oppure che soltanto il 4,6% sia finito nei portafogli delle banche centrali). Osservatori e analisti non sanno neppure – ma non sono tenuti a saperlo – chi ha rilevato il 24% del collocamento assorbito dall’Italia.
Resta un commento di consenso: un mini-raid di successo – da parte del Tesoro italiano – in una fase di mercato complessa. È vero che era già nell’aria il potenziamento del “bazooka” sui bond governativi annunciato ieri dalla Bce, ma il rating italiano resta pur sempre al limite “investment grade”. Ed è vero che i rendimenti pagati da Roma in un’era di tassi negativi valevano una dimostrazione di capacità di “fare da sé”: peraltro saggiata su soli 14 miliardi, benché la domanda di 108 consentisse sulla carta di osare di più.
È rimasta comunque, fra i corridoi del mercato, qualche spigolatura che certamente il ministro Roberto Gualtieri liquiderebbe come chiacchiera senza peso. Riguarda la composizione del sindacato di collocamento. Due banche italiane e quattro non italiane.
Fra le prime spicca UniCredit, soprattutto nell’assenza di Intesa Sanpaolo (e di Mediobanca). Tutti nomi oggi sotto i riflettori delle cronache finanziarie per una rinnovata e in parte inedita conflittualità. Intesa è all’offensiva su Ubi, assistita da Mediobanca; e ha appena concesso una maxi-linea di credito a Fca, assistita da una (politicamente discussa) richiesta di garanzia statale nell’ambito delle misure di rilancio post-coronavirus. Mentre Ubi resiste all’Ops Intesa, UniCredit è scesa in campo contro l’operazione ricorrendo all’Antitrust.
Mediobanca nel frattempo è nel mirino di un nuovo tentativo di scalata da parte di Leonardo Del Vecchio: storico socio stabile di UniCredit e di Generali, vero obiettivo quest’ultima di una mossa in sé sgraditissima a Intesa. Contro Del Vecchio – i cui interessi finanziari sono oggi migrati prevalentemente in Francia – è stata sollevata (anche presso il Copasir) la questione dell’italianità delle Generali.
La “francesità” è peraltro uno degli apparenti connotati operativi del blitz del Tesoro sui Btp. Francese è il Ceo di UniCredit, Jean Pierre Mustier. Francese è Bnp, che da quindici anni controlla l’italiana Bnl. A Parigi ha sede post-Brexit anche la filiale di Hong Kong e Shanghai Bank Corporation entrata nel sindacato. La britannica Hsbc, prima banca europea per total assets con storica proiezione in Asia, ha riconosciuto proprio mercoledì la controversa pretesa del governo cinese di procedere nell’integrazione di Hong Kong con l’introduzione di una nuova legislazione di sicurezza. Hsbc è andata oggettivamente controcorrente all’orientamento del governo di Londra, pronto a offrire passaporto britannico ai “resistenti” dell’ex colonia.
Se Natwest e Citgroup appaiono – nel sindacato – due presenze dovute per la City e per Wall Street, non è passata inosservata l’altra banca italiana: Mps. Il gruppo senese è oggi controllato dallo stesso Tesoro, che ne detiene la maggioranza assoluta dopo il salvataggio di tre anni fa, a spese dei contribuenti italiani per 5 miliardi. Ed è stato Gualtieri (Pd, ex Ds) a pilotare il fresco ricambio dei vertici della storica “banca rossa”, all’interno del pacchetto-nomine che ha assorbito Pd e M5s in piena emergenza-coronavirus. Alla presidenza è andata Patrizia Grieco, dopo due mandati al vertice Enel, su indicazione del Mef di Piercarlo Padoan, infine eletto nel 2018 deputato a Siena. Nuovo Ad di Rocca Salimbeni è invece da due settimane Guido Bastianini, ultimo amministratore delegato di Carige prima della sua entrata in amministrazione straordinaria.
Le commissioni di collocamento che saranno versate al Monte dal suo azionista certamente male non faranno al bilancio di un gruppo che il Tesoro è impegnato a riprivatizzare; anche se oggi con meno pressione da parte dell’Antitrust Ue. Candidata numero uno a un’aggregazione rimane Ubi: naturalmente se sfuggirà alla presa di Intesa.