La crisi economica generata dalla pandemia di Coronavirus non ha risparmiato alcun settore, neppure quello delle discoteche: lo sa bene Claudio Coccoluto, uno dei dj italiani più affermati, intervenuto nelle scorse ore sulle colonne de “L’Espresso” per affrontare proprio la tematica dei locali chiusi sino a data da destinarsi e dell’occupazione che latita nell’ambiente, con migliaia di posti di lavoro andati perduti o a rischio. “Mi ha colpito il discorso alla Camera del ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha parlato di tutti, compresi i giostrai con tutto il rispetto, ma non ha mai pronunciato le parole dj, discoteca, musica elettronica. Niente di niente. Si tratta di un problema culturale, non riusciamo a far breccia nelle istituzioni. Se siamo ignorati, però, la colpa è anche nostra: per troppi anni siamo andati tutti di corsa”. Secondo Coccoluto si potrà ripartire solo in sicurezza, ma “nessuno deve essere lasciato indietro perché questo settore, se non lo gestiranno i professionisti, nel post-Covid finirà nelle mani della malavita”.
CLAUDIO COCCOLUTO: “GLI SHOW SUL WEB NON DEVONO GUARDARE AL MERCATO”
Nel corso della quarantena da poco archiviata, Claudio Coccoluto ha dato vita ad alcuni dj set su Facebook e su Instagram, salvo poi interrompere le sue dirette: “All’inizio hanno funzionato, poi mi sono reso conto che erano un po’ autocelebrativi. Mentre in discoteca la serata perfetta è quella in cui ‘i dischi ti saltano in mano’, si crea un rapporto alchemico con il pubblico, in streaming la proposta è unilaterale e anche i brani che passi sono diversi da quelli che passeresti dal vivo”. Tuttavia, per quanto la sua esperienza non sia stata così indimenticabile, Coccoluto non boccia del tutto il web, che ha dato visibilità e fatto registrare numeri importanti ad alcuni suoi colleghi: “Nessuno va snobbato o escluso, la tecnologia è una grande opportunità, ma va cavalcata con la propria personalità e le proprie idee, senza aderire alla logica imposta dal mercato, senza lasciare il campo ai padroni del vapore. Bisogna creare o utilizzare piattaforme alternative a Spotify e YouTube, che non garantiscono la pagnotta neanche a chi ha milioni di fan. Piccole comunità virtuali che si regolano da sole, in maniera alternativa”.