Tra i tanti paradossi che intrappolano l’Italia, la pandemia ne ha creato un altro. Potremmo chiamarlo il paradosso del sovrano, ricordando il detto arcinoto del giurista tedesco Carl Schmitt secondo il quale il potere di comando si forgia nello stato d’eccezione, quando il governo si arroga il diritto di sospendere le leggi. Non entriamo per carità nel merito di una disputa che divide il pensiero giuridico e politico quanto meno da Machiavelli in poi, e restiamo ai fatti. Da quando è esploso il Covid-19 ed è scattato il lockdown l’opposizione ha accusato Giuseppe Conte di indossare i panni del dittatore. Adesso, invece, viene attaccato per il motivo contrario: promette e non dà seguito ai suoi impegni, annuncia e non si preoccupa di sapere se le parole diventano fatti (basti guardare i ritardi ingiustificati dei prestiti bancari e della cassa integrazione), lancia proclami in diretta tv e sembra Chance il giardiniere, il personaggio portato sullo schermo da un formidabile Peter Sellers nel film “Oltre il Giardino”.
Quale dei due è il vero Conte? Forse entrambi o forse nessuno. Sulla Repubblica, ironizzando a proposito degli stati generali, l’economista Alessandro Penati paragona il presidente del Consiglio addirittura a Luigi XVI. Ma non siamo alla vigilia di una rivoluzione, semmai di una lunga e profonda depressione (politica e non solo economica). Ci vorrebbe allora qualcuno che, come il bambino nella favola di Andersen, riveli che il re è nudo e i suoi sfarzosi vestiti sono solo finzione.
Conte è stato denudato politicamente proprio a proposito degli “stati generali” ed economicamente sulle misure per il rilancio. La politica innanzitutto. Gli stati generali per essere tali avrebbero dovrebbero prevedere la partecipazione di tutte le forze politiche e di tutte le componenti sociali, a cominciare dai corpi intermedi più importanti. Tocca a loro, come ai tre stati nell’antica Francia, elaborare i cahiers de doléances, tocca poi al sovrano legittimo (governo e parlamento) scegliere e decidere. Conte ha incontrato subito il no del suo principale partner di governo: è vero, il Pd non vuol sentirsi scavalcato, ma il suo appello a stare con i piedi per terra invece di lanciarsi in voli di fantasia è un richiamo al buon senso. Anche perché tutto questo coprirsi dietro commissioni, assemblee di esperti, sfilate di scienziati, saggi, aruspici, sapienti di ogni genere e grado, è segno di debolezza e di indecisione. Altro che dittatore, Conte sembra un “re tentenna”.
La debolezza fondamentale è di sostanza, non solo di forma. Quale direzione di marcia il governo intende indicare al paese? Si vuole la ripresa, anzi “il rilancio”. E chi non lo vuole? Ma come? L’ultimo provvedimento è burro spalmato un po’ qui un po’ là, che non accontenta nessuno. Si cominciano a sentire i primi effetti del lockdown sul bilancio dello Stato: 5,6 miliardi in meno. E non è affatto probabile che vengano recuperati nella seconda parte dell’anno. Anzi bisogna dire che sarebbe meglio non recuperarli per non trasformare i prossimi sei mesi in un crollo dei consumi e in una riduzione dei risparmi. Non si vede un centro, un motore da avviare, non appare all’orizzonte nessuna locomotiva. Mentre la diligenza del bilancio pubblico è già circondata da tutte le tribù sul piede di guerra.
Il governo copre le sue incertezze dietro organismi tecnici. Aspettiamo le proposte della commissione Colao che saranno certamente messe in discussione da chiunque non ne fa parte. Proposte sulle quali lo stesso Conte è quanto meno scettico, tanto da voler convocare un altro pensatoio. Gli stati generali, come il nuovo piano Marshall o la nuova Iri: formule vuote il cui potere evocativo è inversamente proporzionale alla loro sostanza reale. E di sostanza ce ne sarebbe. L’Ilva è diventata una nuova emergenza sulla quale il governo si divide, con gli espropriatori a cinque stelle che dopo i Benetton vogliono cacciare anche Arcelor Mittal senza sapere con chi e che cosa sostituirli. Con lo Stato? E chi sarebbe, una volta tolta la maiuscola? La Cassa depositi e prestiti? Quanto investirebbe e per fare che cosa, gestire il centro siderurgico? O chiuderlo e dismetterlo come a Bagnoli dove al posto dell’acciaieria, a trent’anni di distanza, c’è ancora una terra di nessuno?
Non parliamo dell’Alitalia, un tormentone che costa altri 3,5 miliardi di euro. Si dice che Berlino ne spende 9 per la Lufthansa, solo che la compagnia tedesca prima del Covid-19 non era in fallimento, ma contendeva alla British Air e all’Air France-Klm il posto di numero uno in Europa. Quei 9 miliardi torneranno ai contribuenti, i nostri 3,5 miliardi no, così come non sono tornati tutti gli altri spesi finora.
Avere delle priorità, scegliere, come la Germania con il piano ambizioso lanciato da Angela Merkel, scontentando anche potentati del peso della Volkswagen, non significa avere la soluzione in tasca. Nonostante il luogo comune, non è lo Stato a generare la ripresa, sono le imprese, i lavoratori, gli operatori economici, la società civile. La politica può dare la spinta, può (anzi deve in crisi come questa) caricare la molla. E il meccanismo fondamentale resta il fisco: non affrontare il nodo delle tasse compromette l’esito di qualsiasi “rilancio”. Anche in questo caso, la Germania ci fornisce un esempio. Se lo può permettere perché prima delle crisi aveva un bilancio in attivo e un debito pubblico al 60% del Pil. È vero, ma oggi come oggi in Italia più che i soldi, mancano chiare priorità.