Il Rapporto Colao è stato elaborato dai 18 esperti della Task Force come gesto gratuito di solidarietà verso il loro Paese duramente colpito dalla pandemia. Non è il pregio più importante del loro lavoro, ma va subito riconosciuto: allorché molti altri protagonisti di questo momento difficilissimo (a cominciare dalla presidenza del Consiglio fino alle forze politiche rappresentate in Parlamento) non stanno mostrando un impegno altrettanto responsabile e disinteressato verso gli italiani. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sembra rimasto l’unico a tener quotidianamente fede ai suoi compiti istituzionali. Ed è stato lui, infatti, a raccomandare tacitamente il nome dell’ex Ceo di Vodafone per la guida di una Task Force che già due mesi fa cominciasse a preparare la Riapertura e la Ricostruzione.
Il Rapporto Colao è stato presentato nei termini fissati e risponde in modo completo alla richiesta di raccomandazioni qualificate formulata dall’esecutivo. È quanto avviene nei Paesi del G7, nelle democrazie di mercato avanzate fra le quali l’Italia continua ad annoverarsi. Si tratti di un’azione di governo, di una grande riforma decisa dal Parlamento o del piano strategico di “campione nazionale” industriale, i tempi e i modi vanno sempre rispettati: la forma è sostanza. La liberaldemocrazia è rigorosa “accountability”: verso gli elettori-contribuenti non meno che verso gli imprenditori, i lavoratori, i risparmiatori-investitori.
Un Paese come l’Italia non può vivere di decreti che nascono già inattuabili e tanto meno di “social chat”. Non può veder sostituiti il Parlamento e il Consiglio dei ministri da opachi “Stati Generali dell’Economia” convocati da un giorno all’altro dal Premier quasi a titolo personale (a proposito: la Costituzione contempla tuttora una Camera Nazionale dell’Economia e del Lavoro). E certamente non stupisce che sugli “Stati Generali” siano scettici sia il leader di Confindustria Carlo Bonomi che quello della Cgil, Maurizio Landini: non c’è nulla – nell’Italia del 2020 – che ricordi lontanamente la cornice della “concertazione” fra le parti sociali costruita dal premier Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 all’indomani di una drammatica crisi valutaria.
Nel merito, il Rapporto Colao ha tutte le sembianze di un programma di governo: ma ciò accade in quanto il Governo, sessanta giorni dopo aver istituito la Task Force, è tuttora privo di un programma-bussola per il Paese nella tempesta post-pandemica. Colao, invece, ha messo anzitutto nero su bianco una direzione strategica precisa: la “resilienza” di un’Azienda-Paese fatta di imprese, lavoratori, risparmiatori, famiglie e Terzo settore. Una “società economica” nella quale lo Stato non può e non deve riassumere un ruolo di Leviatano fiscal-dirigista.
La raccomandazione puntuale riguardo un abbassamento delle pressione fiscale durante il 2020 incarna esattamente la “visione” economica che negli ultimi giorni viene rimproverato al Premier di non avere. È nei fatti il richiamo dell’articolo 1 della Costituzione: lasciate “lavorare” gli italiani nella loro “Repubblica democratica”. L’esperienza per prima dice che funziona. Anzi: la Seconda Ricostruzione – quella seguita ai collassi socio-economici degli anni ’70, a fondamento dell’odierna Azienda-Paese – è stata merito quasi esclusivo degli italiani “sommersi”, come ha raccontato il Censis. Ma è in errore anche chi continua a etichettare come “statalista” la Prima Ricostruzione, nel dopoguerra. Perfino l’Eni di Enrico Mattei dovette farsi largo fra mille resistenze politico-burocratiche.
Nel 2020 l’Eni è forse la più importante impresa italiana: bisogna aiutarla non meno delle altre 20mila imprese chiamate a difendere il grosso del Made in Italy “in trasferta” (dalla moda a Industria 4.0). Ma – scrive il Rapporto Colao pochi giorni dopo il forte appello delle Considerazioni Finali Bankitalia – è anche ora di puntare con decisione sul turismo: su tutti gli attaccanti del Made in Italy “in casa”, tutti convocati fra Bolzano a Pantelleria, nessuna Italia contro altre Italie.
Non manca neppure una visione sociale nel Rapporto. Non sono dettagli, ma indicazioni tanto concrete quanto simboliche quelle riguardanti gli asili-nido e il digitale. Il “lockdown” ha messo alla prova famiglie e scuola forse più ancora che imprese e lavoratori. L’Italia deve ripartire anche da una politica per la famiglia, con un primo obiettivo preciso: fornire un appoggio solido ad almeno il 60% dei genitori di figli fra 0 e 3 anni. E deve ripartire dalla scuola, senza disperdere l’immenso investimento – in gran parte autogestito, per buona parte di successo – fatto in tre mesi da milioni di insegnanti e allievi, in tutto il sistema educativo, pubblico e paritario. Il digitale è la frontiera dell’alfabetizzazione e l’education stabilirà il discrimine fra ciò che potrà ancora chiamarsi democrazia e ciò che non lo sarà più.