“Da quando sono arrivato a Taranto provo la sensazione di una città in bilico” dice Monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro. Una città dove la crisi sociale innestata da quella che era la più grande acciaieria d’Europa, l’ex Ilva, oggi ArcelorMittal, non riesce a trovare soluzione, peggiorata dall’emergenza Covid19 che ha costretto alla chiusura molte piccole aziende dell’indotto. Il piano industriale per il periodo 2020-2025 presentato al governo infatti è disastroso: 3300 esuberi a cui vanno aggiunti i dipendenti in amministrazione straordinaria, ben 1600, fino a una riduzione della produzione di circa due milioni di tonnellate all’anno di acciaio. “E’ in atto una sfida della povertà molto grave, c’è un disagio sociale che la gente sta portando con grande dignità, senza clamore. Il Covid, la prospettiva di migliaia di esuberi, le piccole aziende che non reggono più: c’è una reale sofferenza delle persone” ci ha detto in questa intervista Monsignor Santoro che oggi alle ore 18.30 interverrà a Inside (live su Facebook e Twitter de IlSussidiario.net) dal titolo “L’Italia dimenticata. Storie e volti di chi non fa notizia“.
Un piano industriale pesantissimo quello proposto dall’ArcelorMittal, addirittura il reintegro promesso ai lavoratori in amministrazione straordinaria è stato cancellato. Taranto ancora in situazione disastrosa, è proprio così?
E’ proprio così. Il piano industriale è totalmente insufficiente, ma soprattutto è la ricaduta sui lavoratori con questi esuberi che continuano a rendere la situazione drammatica. Senza contare l’indotto che è veramente in ginocchio: avendo problemi l’ArcelorMittal sono in sofferenza gravissima tante piccole e medie aziende.
Circa sei mesi fa l’ArcelorMittal aveva annunciato l’intenzione di ritirarsi, di chiudere tutto. Poi si è rimessa in gioco. Cosa è successo in questo tempo?
L’azienda è ripartita, sembrava ci stesse dando prova di voler continuare. Ultimamente invece ascoltando quello che ci dicono è stato proposto una piano inaccettabile. Lo giustificano con la crisi a livello mondiale dell’acciaio, con i problemi economici in Italia e così sembra abbiano fatto marcia indietro e vogliano tirarsi di nuovo fuori. Ma non lo dicono. A meno che lo stato entri in maniera pesante non si vedono altre soluzioni che accettare questo piano, ma i ministri si sono dichiarati insoddisfatti.
Che cosa pensa sia opportuno fare?
Ci sto riflettendo. Aspettando che l’azienda si pronunci chiaramente su che cosa voglia veramente fare, bisognerebbe che il governo pensi un piano B, il quale non mi sembra semplice. Se penso a un partner che possa lavorare con la Cassa depositi e prestiti mi viene in mente il Gruppo Arvedi. Ma l’importante è che ci sia un progetto in cui in primo piano ci sia quello che l’Europa chiede se no non ci danno i soldi, poi la questione ambientale messa in evidenza per i cittadini e una certezza all’orizzonte sul piano interno che assicuri il posto di lavoro dei dipendenti.
Come ha toccato Taranto l’emergenza Covid?
Il Covid ha peggiorato la situazione nel senso generale anche perché Taranto è stata la provincia più virtuosa della Puglia nell’eseguire le ordinanze del governo, con il numero di persone contagiate più basso di tutta la Puglia. La gente ha dato una risposta positiva però le conseguenze più gravi a livello di lavoro saranno qui al sud, le piccole imprese sono già investite da una crisi durissima, tutti i soldi promessi e già stanziati speriamo comincino ad arrivare.
Quale la speranza immediata?
Per tante persone l’unico sostengo immediato sono la Caritas e il Banco Alimentare. La parrocchia cattedrale dove sono io che non ha un gran numero di persone era organizzata a fornire 60 pacchi al mese per i poveri. Adesso siamo arrivati a 400. Questo ci dice di una sfida della povertà molto grave, c’è un disagio sociale che si sta portando con dignità senza clamore, c’è una reale sofferenza della gente.
(Paolo Vites)