Già nel pieno dell’emergenza coronavirus raccontò cosa stava accadendo nei pronto soccorso della Lombardia travolti da contagiati. Ora quel medico della Brianza, rimasto anonimo, spiega quanto questa terribile esperienza abbia lasciato il segno. La situazione va decisamente meglio ora, anche in Lombardia, ma quanto accaduto in quei terribili tre mesi è un ricordo che rappresenta anche un monito per il futuro. «Sono stati mesi terribili, negli ospedali vedevamo i pazienti morire come mosche», racconta a Il Giorno. La vita in trincea è stata durissima. «Sembrava che stessero annegando e non avevamo respiratori e caschi CPAP (quelli respiratori, ndr) sufficienti per tutti. E siamo stati costretti a scelte strazianti». Quali è facile intuirlo: «Chi curare e chi no». Erano gli animatori a spiegare loro come dovevano fare queste terribili scelte. «Se un paziente era anziano, sopra i 70 o 75 anni di età e con patologie pregresse, ci dicevano che non valeva la pena investire mezzi ed energie». Scelte inevitabili se i mezzi e le risorse a disposizione non possono aiutare tutti.
CORONAVIRUS LOMBARDIA, “MESI A SCEGLIERE CHI LASCIAR MORIRE”
«Non sempre questa scelta riguardava solo gli anziani», evidenza il medico nell’intervista a Il Giorno. Ricorda, ad esempio, il caso di un paziente giovane positivo al coronavirus che però era gravemente sovrappeso e aveva problemi di ipertensione. «Non si trovava in condizioni di riuscire a cavarsela. Purtroppo, i casi simili sono stati tanti». Tutte storie che hanno travolto lui e i suoi colleghi psicologicamente. «C’erano colleghi che piangevano in continuazione…». Una volta hanno rianimato un 80enne che non riusciva a respirare ed era in arresto respiratorio. Ma per questo sono stati rimproverati: «Lasciate stare, non ci sono risorse», dicevano. Ma il medico della Lombardia ricorda anche pazienti che venivano attaccati ad una bombola per qualche ora. «E se non miglioravano, bisognava staccare il respiratore per darlo a qualcun altro». Il problema era che non c’erano alternative. «E a volte ti ritrovavi come un avvoltoio ad attendere che un paziente particolarmente grave esalasse l’ultimo respiro per portargli via il letto e darlo ad un altro».
“DI NOTTE ABBIAMO ANCORA INCUBI”
Ai medici sono stati affiancati psicologi per un supporto. «Molti di noi hanno ancora gli incubi di notte». Ai traumi per le scelte difficili si aggiunge la stanchezza per aver sostenuto ritmi infernali. Molti ora si ritrovano con stress post traumatico e vari stati di ansia. A volte avvertono crisi respiratorie che sono in realtà psicologiche. «A volte sembrava letteralmente di soffocare». Si navigava a vista durante la fase acuta dell’emergenza coronavirus. Per le cure, ad esempio, si andava avanti per tentativi, seguendo istruzioni che però cambiavano continuamente. Ma era impossibile procedere diversamente. E così hanno scoperto che il coronavirus attacca anche cuore, reni e cervello. «Abbiamo avuto a che fare spesso con infarti e ictus da Covid». Spesso quando i pazienti arrivavano in ospedale era ormai troppo tardi. Ora medici e infermieri sono considerati eroi, ma il timore che le cose cambino presto c’è. Il medico intervistato da Il Giorno infatti rivela: «Credo che presto la situazione tornerà alla normalità e per tutti noi ricominceranno insulti e minacce. In pronto soccorso sta già cambiando il vento».