Sin dall’inizio della sua presidenza, Donald Trump aveva messo in chiaro la linea isolazionista a cui voleva che gli Stati Uniti tornassero, linea che aveva caratterizzato il paese dalla fine della Prima guerra mondiale fino a quando l’attacco giapponese su Pearl Harbour nel 1941 li aveva costretti a scendere in guerra. Questa linea prosegue adesso con la dichiarazione del Dipartimento di Stato che annuncia che “nei prossimi mesi gli Stati Uniti continueranno a ridurre il numero delle proprie truppe in Iraq”. Gli Usa ribadiscono che “non cercano né chiedono basi permanenti o una presenza permanente in Iraq”. Che cosa significhi questo per l’Iraq e per tutto lo scenario mediorientale lo abbiamo chiesto a Carlo Jean, già generale di corpo d’armata ed esperto di strategia militare e di geopolitica.
Che effetti potrà produrre questa decisione?
L’Iraq rischia di nuovo di piombare nel caos. La componente sunnita e quella curda sono molto più forti di quella sciita. In particolare la forza sunnita alimenterà molto velocemente il risorgere dell’Isis e dello Stato islamico. Che non avrà inizialmente i successi che ottenne la prima volta, ma la situazione diventerà caotica e influirà sui progetti di ristabilizzazione del paese, soprattutto per quanto riguarda le risorse petrolifere.
L’Iran, che nei mesi scorsi ha cercato di destabilizzare l’Iraq sfruttando le proteste, potrà tornare a influenzare le sorti del paese?
L’Iran cercherà sempre di avere influenza sull’Iraq, ma sta sorgendo nel movimento sciita iracheno una forza notevole, patriottica, nazionalistica, anti-iraniana, di cui fanno parte il nuovo presidente della Repubblica e il Grande ayatollah Alī al-Sīstānī.
Gli Usa rischiano di perdere il controllo di un paese cerniera tra due nemici storici, Iran e Arabia Saudita?
Gli Usa di fatto si sono già ritirati. Si sono disimpegnati anche in Siria quasi completamente, e gli accordi tra Turchia e Russia, che vedono la Turchia allentare la sua presenza in Siria e in Iraq, fatta eccezione per il Pkk contro cui la Turchia continuerà ad agire, testimoniano che gli Usa si sono ritirati dallo scenario.
Che cosa cambia nello scenario mediorientale? Così gli Usa non espongono Israele a rischi maggiori?
Israele gode del forte sostegno americano e comunque ha una capacità militare superiore a tutti. In particolare l’Iran non può scherzare molto con Israele o ne subirebbe pesanti conseguenze.
In un altro scenario completamente diverso gli americani ritirano quasi tutte le truppe che avevano in Germania. Trump sta mettendo in pratica l’isolazionismo di cui ha sempre parlato?
Sì, questi ritiri fanno parte di un disegno politico: disimpegnarsi dagli scenari internazionali che gli Usa con le presidenze democratiche avevano sempre sostenuto. Al centro dell’attenzione internazionale, così come faceva Obama, è sempre più l’Asia e non l’Europa. Il tentativo di Trump è di mettersi d’accordo con la Russia e di usarla come baluardo contro Pechino. Ricordiamoci che i russi temono fortemente il pericolo Cina.