«Cosa nostra è un’organizzazione politica», ha dichiarato Nino Di Matteo a Non è l’Arena. Il pm ha spiegato che «la vera forza della mafia sta nella sua capacità storica di intessere rapporti col potere politico, imprenditoriale e istituzionale». E parlando di Cosa nostra ha, quindi, aggiunto che «anche attraverso delitti eccellenti, ha fatto politica lanciando messaggi e eliminando chi, con il suo rigore e la sua intelligenza, costituiva un ostacolo rispetto alla pacifica convivenza tra cosa nostra e il potere». Ha ricordato allora cosa disse Totò Riina ai suoi più stretti collaboratori nel periodo delle stragi del ’92. «Se noi non avessimo avuto i rapporti con la politica saremmo stati una banda di sciacalli, cioè di criminali comuni e ci avrebbero già azzerato». E quindi Di Matteo ritiene che i mafiosi abbiano «la consapevolezza di quanto sia per loro importante il rapporto con il potere». Riina, secondo Di Matteo, capì che la strategia aveva iniziato con l’omicidio di Salvo Lima e l’attentato di Capaci «stava pagando» e quindi «lo Stato piegava le ginocchia». Il magistrato ha aggiunto che «sono stati sempre eliminati gli uomini anche dello Stato delle Istituzioni e della politica che costituivano diciamo un ostacolo rispetto al mantenimento di uno status quo di una sorta di alleanza nascosta di pacifica convivenza tra Cosa nostra ed il potere». E quindi cosa accadeva? «Chi costituiva un ostacolo con il suo rigore con la sua intelligenza con la sua bravura con la sua professionalità veniva colpito e molte volte è stato colpito dalla mafia dopo essere stato isolato e delegittimato dalle istituzioni e dalla politica». (agg. di Silvana Palazzo)
“METODO MAFIOSO NELLA MAGISTRATURA”
«È molto simile al metodo mafioso». Così il magistrato Nino Di Matteo, pubblico ministero antimafia e ora componente del Csm, a Non è l’Arena ha commentato la scelta di privilegiare un magistrato secondo l’appartenenza ad una corrente o ad una cordata di magistrati. Per Di Matteo tutto ciò «è inaccettabile». E quindi da membro del Consiglio Superiore della Magistratura promette: «La mia battaglia attuale e futura sarà sempre quella di cercare di dare un taglio netto o di contribuire a dare un taglio netto a questa mentalità». Per il pm serve «una svolta etica, un cambiamento vero» che deve riguardare la mentalità di tutti i magistrati. E bisogna agire in fretta per evitare che «qualcuno possa approfittare di questa situazione di difficoltà della magistratura, di mancanza di credibilità della magistratura per riforme che hanno uno scopo che noi non possiamo mai accettare quello di sottoporre di fatto la magistratura a un controllo da parte del potere politico».
Massimo Giletti gli ha chiesto conto anche dell’esclusione dal pool sulle stragi. «Ho verificato dagli atti dell’indagine di Perugia che il Dottor Palamara prima che avvenisse questa esclusione si era diciamo lamentato del fatto che io facessi parte di questo gruppo stragi entità esterne e nel momento in cui venne resa nota la mia estromissione accolse la notizia diciamo con molta soddisfazione». Di Matteo però si è astenuto dall’esprimere un suo giudizio nel merito, ma parla di «amarezza enorme» avendo lavorato per decenni sulle stragi. Il magistrato ha poi parlato della presunta trattativa Stato-mafia e quando Giletti gli ha chiesto se qualcuno cercò di fermare lui e i suoi colleghi ha affermato: «In quel momento Anm e Csm anziché diciamo difendere non Nino Di Matteo ma l’operato dei magistrati che indagavo e non lo avevano fatto in maniera scorretta perché nessuno ha mai detto che abbiamo violato una qualsiasi norma di legge, in quel momento hanno preferito per motivi di opportunità schierarsi dalla parte del potere politico».
E su Cosa nostra ha aggiunto: «Ha fatto politica anche attraverso i delitti eccellenti». E poi sulle recenti scarcerazioni dei boss durante l’emergenza coronavirus: «È un segnale di impunità del mafioso o di speranza anche per chi è stato condannato più volte. Anche il peggiore dei mafiosi ha diritto alla tutela della sua salute, ma lo Stato deve fare di tutto perché la salute di ciascun detenuto venga tutelata in carcere». E quindi ha concluso: «Il segnale è devastante da un punto di vista simbolico e produce effetti concreti e pericolosi per il futuro. Un mafioso si industria sempre per far arrivare le direttive fuori dal carcere ai suoi. Figuriamoci se ha avuto la possibilità di tornare a casa».
NINO DI MATTEO A NON È L’ARENA DI GILETTI
Nino Di Matteo oggi a Non è l’Arena: la stagione del programma di Massimo Giletti si chiude con l’intervista al pm sulla cui mancata nomina al Dap è scoppiato un caso. Dopo le polemiche e le accuse sulla nomina saltata e sul ruolo del ministro Alfonso Bonafede, avrà modo di fare una riflessione anche sulle attuali ferite e sui mali endemici della giustizia italiana. Ma non si potrà non partire dalla vicenda che lo ha reso protagonista, perché è la toga che ha messo in imbarazzo proprio su La7, proprio da Giletti, il ministro Bonafede. Intervenendo in collegamento nelle scorse settimane, Nino Di Matteo accusò il Guardasigilli di aver rivisto la sua candidatura alla presidenza del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) in quanto scomoda per i boss mafiosi. Tutto partì con Luigi de Magistris: il sindaco di Napoli, parlando delle responsabilità politiche del ministro Bonafede di fronte alla crisi delle carceri, lo accusò di non aver scelto le persone migliori al Dap. Allora Giletti chiese a Dino Giarrusso, eurodeputato M5s, il motivo per il quale non fosse stato scelto Di Matteo. Si accese quindi il dibattito con Nino Di Matteo che intervenne telefonicamente durante la trasmissione.
NINO DI MATTEO E IL CASO DAP E BONAFEDE
«Ritengo di dover dire come si siano svolti i fatti nel momento che l’onorevole Giarrusso parlava di trattativa tra la mia persona ed il ministro Bonafede. Io non ho mai fatto trattative con nessun politico né ho mai chiesto nulla», disse il pm Nino Di Matteo a Non è l’Arena. E quindi ricostruì i passaggi di quello che non fu un semplice pourparler, ma invece una proposta di collaborazione. Ma nel frattempo il Gom della polizia penitenziaria informò la procura antimafia e il Dap che alcuni importanti capi mafia commentavano le indiscrezioni sulla nomina. «Se nominano Di Matteo per noi è la fine», avrebbero detto. Lui aveva deciso di accettare l’incarico, ma il ministro Bonafede gli disse di averci ripensato e gli propose il posto di direttore generale al Ministero degli affari penali, ma Di Matteo non accettò. Quelle parole in diretta suscitarono lo stupore dei presenti, non a caso anche il ministro Alfonso Bonafede decise di intervenire telefonicamente a Non è l’Arena. «Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra», disse il Guardasigilli che poi finì nella bufera, con tanto di mozione di sfiducia da cui si è “salvato”. Le polemiche però non sono finite, anzi l’intervista di oggi di Nino Di Matteo potrebbe aprire un nuovo capitolo.