«A settembre sarà inevitabile un’ondata di licenziamenti: inutile prorogare il divieto di mandare via imposto dal Governo, il guaio è che mancano aiuti per rioccuparsi»: l’allarme suona da Pietro Ichino, giuslavorista ed ex senatore Pd, intervistato da Pietro Senaldi per “Libero Quotidiano”. Dopo il dolore e il lutto che lo hanno colpito direttamente con la scomparsa dell’amata moglie malata di Sindrome di Richardson, l’esperto giuslavorista si “rituffa” nei gravi problemi legati al mercato del lavoro dopo pandemia e lockdown e non promette un futuro roseo per aziende e lavoratori italiani: «prorogare il blocco, con l’integrazione salariale necessariamente connessa, sarebbe un errore», spiega però Ichino contravvenendo a chi nel Governo e nei sindacati starebbe cercando di allungare lo “stop” ai licenziamenti imposti a tutte le aziende in periodo di emergenza Covid,
«Un errore perché in molti casi l’integrazione salariale quasi automatica genera un incentivo perverso all’inerzia o alle attività pagate fuori-busta. Piuttosto, meglio lasciare che cessi il blocco e rafforzare il trattamento di disoccupazione e i servizi per l’impiego». Secondo ancora la versione di Ichino, bisogna uscire dai vecchi schemi sindacali di lotte per imporre lo “stop ai licenziamenti”, specie davanti ad una crisi profonda dell’intero sistema produttivo: «molto meglio il filtro costituito dall’indennizzo a carico dell’imprenditore. La sicurezza economica e professionale delle persone che vivono del proprio lavoro non si può garantire ingessando i rapporti, ma solo sostenendole efficacemente nella transizione dalla vecchia occupazione alla nuova».
PIETRO ICHINO RILANCIA SUL FUTURO DEL LAVORO
Non è stato invitato agli Stati generali dell’economia e come esimio professore non potrà dunque dare consigli utili alla causa, quantomeno non in “presenza”: ma il lavoro di Pietro Ichino non si ferma certo qui, come ribadisce nell’intervista a Libero «investire molto di più per innervare il mercato del lavoro dei servizi indispensabili, che oggi difettano drammaticamente. È irragionevole che in questo momento, nel quale troviamo con facilità decine di miliardi da spendere per le politiche passive del lavoro, cioè per il pur necessario sostegno del reddito di chi è senza lavoro, non troviamo neanche un euro da investire sulle politiche attive».
La battaglia storica di Ichino parte da lontano e vede come unica modalità di rilancio della produzione ed economia italiana proprio l’investimento nelle politiche attive, tutto il contrario del “regime” di redditi passivi: «mancano servizi efficienti e capillari di informazione, orientamento professionale, formazione mirata specificamente agli sbocchi occupazionali esistenti, quindi organizzata in collaborazione con le imprese interessate. E della quale si controlli a tappeto la qualità, cioè si rilevi sistematicamente il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi».
Gli ultimi due spunti offerti dall’intervento di Ichino sono dedicati al delicato tema dello smart working e della cassa integrazione: in primis, sentenzia il professore, «il lavoro agile per i dipendenti pubblici nella maggior parte dei casi è stata solo una lunga vacanza pressoché totale, retribuito al 100%». La strada del Governo doveva essere ben diversa insomma, con Ichino che non si nasconde dietro alle critiche: «Si sarebbe potuto estendere a questi settori il trattamento di integrazione salariale», ovvero la cassa integrazione che per i dipendenti pubblici non c’è ovviamente, visto che i datore di lavoro è lo Stato «E destinare il risparmio a premiare i medici e gli infermieri in prima linea, oppure fornire i pc agli insegnanti, costretti a fare la didattica a distanza con i mezzi propri». Da ultimo, stilettata di Ichino al Ministero della Pa «se almeno fornisse un quadro attendibile di quanta perte dei dipendenti publici si è veramente attivata per fare smart working e quanta no…».