Quel Sos-liquidità per le imprese

Sono passati due mesi dal varo del decreto liquidità, eppure le imprese sono ancora a corto di ossigeno e questo rischia di essere un grosso problema

Il Governo ha varato già in aprile un “decreto Liquidità” che rimane – al momento – l’unico provvedimento concepito per la Fase 2: per la riapertura dell’Azienda-Paese, per la ricostruzione del Pil dopo il contraccolpo recessivo dell’epidemia. Dopo due mesi, tuttavia, il decreto resta inceppato e la liquidità resta un’emergenza. Diventa anzi ogni giorno il termometro principale di un’emergenza che da sanitaria tende rapidamente a trasformarsi in socioeconomica. Secondo l’Istat, oltre la metà delle imprese (51,5%) prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020. Un’azienda su quattro (38%) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività. Tra marzo e aprile quattro piccole e medie imprese su dieci hanno infatti subìto un calo del fatturato di oltre il 50%. 



Se nelle vene del sistema socio-economico un po’ di liquidità continua a circolare essa proviene assai più dalle riserve di risparmio di un Paese storicamente “formica” piuttosto che dalla capacità dell’Inps di erogare gli ammortizzatori sociali ai lavoratori dipendenti e autonomi scacciati dal virus fuori da fabbriche, laboratori, uffici. Sono le stesse imprese – anche quelle più piccole – ad aver spesso anticipato in misura importante la Cig ai loro dipendenti. Ma quelle imprese faticano invece a districarsi nelle labirintiche corsie – con 19 cancelli di certificazione – disegnate dal decreto per accedere agli sportelli bancari e chiedere finanziamenti d’emergenza con garanzia pubblica. 



La stessa politica fiscale “d’emergenza” non si è mostrata finora particolarmente attenta alle esigenze delle imprese: nessuno ha dimenticato che l’originario decreto Cura Italia di marzo non ha concesso che qualche giorno di proroga per le scadenze fissate nei giorni del picco pandemico. Un rinvio anche breve (90 giorni) avrebbe invece lasciato nelle casse aziendali liquidità preziosa, probabilmente decisiva. L’Erario ha invece preferito non indietreggiare o quasi dal suo ruolo di intermediario (non lo ha fatto neppure per la scadenza Imu), evidentemente preoccupato di non mettere in crisi i propri rigidi equilibri finanziari e privilegiando i canali assistenziali. È intuibile, in ogni caso, il tradizionale approccio statalistico: piuttosto che lasciare all’imprenditore l’ossigeno finanziario perché lui possa continuare a pagare i suoi dipendenti, si preferisce insistere nel prelievo fiscale della liquidità aziendale per riversarla ai “non-più-lavoratori in Cig” attraverso un percorso burocratico spesso inefficiente. 



L’ex Presidente della Bce, Mario Draghi, è finora intervenuto una sola volta sulle criticità economiche dell’emergenza-Covid. Lo ha fatto tempestivamente, a fine marzo, delineando sul Financial Times una ricetta che istituzioni e singoli Paesi dell’Ue (ma anche gli Usa) hanno poi sostanzialmente fatto propria. Le raccomandazioni-cardine sono state due: a) la via dell’indebitamento pubblico è oggi obbligata nel tentativo di risalire le voragini aperte dalla recessione nell’economia; b) è fondamentale puntare sul sistema bancario come rete capillare ed efficiente per far affluire al più presto la liquidità d’emergenza raccolta dagli Stati o dalle istituzioni sovrannazionali prioritariamente a beneficio delle imprese (occupazione e investimenti). 

Molti Paesi (dagli Stati Uniti alla Germania) hanno preso decisioni e le hanno poste in atto. Altri Paesi – fra cui l’Italia – sono ancora lontane dell’operatività:  anche perché la liquidità d’emergenza dev’essere tuttora reperita presso l’Ue (di Mes e Recovery Fund parleranno i leader europei dopodomani a Bruxelles). Resta il fatto che sono trascorsi quattro mesi, ormai, dallo scoppio dell’epidemia in Italia e solo l’estate separa ormai l’Azienda-Paese dal mese di settembre, che nel dibattito pubblico è ormai identificato come l’inizio di un fase di “new normal”, probabilmente più problematica di quella di “lockdown”. Per allora l’Italia dovrà aver fatto proprie in concreto entrambe le raccomandazioni dell’ex banchiere centrale (italiano) dell’euro: a) dovrà aver definito tutte le condizioni per potersi indebitare ; b) dovrà aver rimosso tutti gli ostacoli al perché la finanza d’emergenza arrivi tutta e rapidamente alle imprese.

Senza liquidità stavolta, la ripresa non sarebbe solo rinviata: rischierebbe di non esserci mai più.   

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