Una sorta di G5, un super vertice tra le potenze che possiedono armi nucleari e che fanno anche parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito. Ci sono, è vero, altri paesi come Pakistan, India, Israele e Corea del Nord ad avere l’atomica, ma non fanno parte del Consiglio dell’Onu. Di fatto quei cinque grandi paesi sono ancora oggi le nazioni uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale. Con una mossa inaspettata il presidente russo Vladimir Putin ha invitato tutti i cinque paesi a un vertice per cercare “risposte comuni alle sfide e alle attuali minacce”. Per Putin, è necessaria una collaborazione internazionale per fare di tutto onde evitare il ripetersi di terribili tragedie, come appunto è stata la seconda guerra mondiale. Sembra che Putin abbia già ricevuto risposte affermative. Ne abbiamo parlato con Paolo Quercia, fondatore e direttore del Cenass, ricercatore, analista e docente nei settori politica estera, sicurezza e strategia.
Perché secondo lei Putin, che non gode di un buon sostegno al vertice di una Russia profondamente in crisi economica, ha deciso proprio adesso questo vertice?
Un vertice delle 5 potenze nucleari, dei 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza è sicuramente utile per aiutare a ricostruire i rapporti di potenza nel sistema internazionale. Ma difficilmente in questo momento potrà aiutare a ricostruire un’architettura di sicurezza internazionale. Quell’ordine a 5 semplicemente non c’è più. Altrimenti le Nazioni Unite funzionerebbero e non sarebbero paralizzate, spesso umiliate, come accade nel caso della Libia. Ormai non si contano più i casi in cui la Carta viene impunemente violata. Ma soprattutto è aumentato di molto il numero dei Paesi revisionisti dello status quo. E quel Club a 5 non riesce più a tenere il mondo in ordine. Anche perché, quando avveniva in piena guerra fredda, sotto c’era una ulteriore spaccatura bipolare.
Perché un vertice proprio ora?
Forse è una risposta alla proposta Usa di allargare il formato del G7, ma sottende anche le preoccupazioni di Mosca per una nuova corsa alle armi, dopo la decisione degli Stati Uniti di uscire dal Trattato sull’eliminazione dei missili a medio e corto raggio. Certamente anche la campagna presidenziale Usa rappresenta un’occasione per lanciare queste proposte e per vedere come i candidati si posizionano.
Che cosa intende Putin quando parla di sfide e minacce attuali, alla luce anche del fatto che gli stessi cinque paesi invitati al vertice non hanno buoni rapporti fra loro? Si riferisce alla Corea del Nord? Ai recenti contrasti tra India, che ha le armi nucleari, e Cina? O alla guerra in Libia e all’ancora irrisolta situazione della Siria?
Quali siano le minacce a cui fa riferimento non è chiaro. Il concetto di minaccia nella sicurezza internazionale è estremamente labile e mutevole. E soprattutto soggettivo. Il caso del terrorismo jihadista è stato negli scorsi anni un punto comune che ha parzialmente avvicinato gli interessi americani e russi nel Medio Oriente. Ma ora quel momento è in buona parte superato. Il parziale disimpegno militare americano dal Medio Oriente non è affatto detto che avvicini i due Paesi. Anzi, rischia di produrre un vuoto in una regione profondamente destrutturata dagli interventi militari.
Putin ha anche detto che “la creazione di un moderno sistema di relazioni internazionali è uno degli esiti più importanti della seconda guerra mondiale”. È vero, ma attualmente questo sistema di relazioni internazionali è più in crisi che mai. È d’accordo?
La seconda guerra mondiale è un punto ormai troppo lontano nel tempo. La Francia e la Gran Bretagna di oggi sono solo una lontanissima ombra di quello che erano nel dopoguerra, prima che gli Usa erodessero il loro ruolo. Basti pensare al ruolo che oggi sta giocando la Turchia nel Mediterraneo, all’ascesa della Cina, al potenziale dell’India. E all’incapacità dell’Europa di trasformare la sua ricchezza in potenza politica e militare.
A essere maliziosi e a guardare quanto successo a livello internazionale negli ultimi anni, con accordi segreti o meno tra questi cinque paesi, potrebbe essere visto come un vertice dove spartirsi il mondo, come una nuova Yalta?
Credo che il mondo non si possa spartire in questo momento. Ci sono troppe aree non governate o a bassa governance, troppi attori emergenti, troppa frammentazione del potere, troppi interventi ad hoc o sui generis, troppe alleanze tattiche e improbabili. Per dividere il mondo serve una contrapposizione ideologica, che oggi manca. Quello che invece le grandi potenze potrebbero fare meglio è gestire l’instabilità su base regionale. Ma questo sembra più il terreno di collaborazione tra grandi e medie potenze, più che tra super potenze, come dimostra il caso di Russia e Turchia che proprio questo stanno facendo nel Mediterraneo. A spese dell’Europa e sotto gli occhi degli Usa.
Qual è oggi, a suo avviso, il più grave problema internazionale? Il radicalismo islamico che in Africa è sempre più potente? Il problema dei migranti che continua e mette in crisi l’Europa ma potrebbe espandersi anche altrove? L’espansionismo turco? E quale obbiettivo dovrebbe darsi realmente questo vertice?
I problemi principali del sistema internazionale sono sempre gli stessi. La lotta di potenza tra gli Stati, in particolare tra quelli in ascesa e quelli declinanti; la corsa per garantirsi la superiorità tecnologica; il controllo delle risorse e delle materie prime e delle rotte con cui esse vengono trasportate; la questione della deterrenza; il problema di come trasformare la ricchezza in potenza senza impoverire o militarizzare la società. Ma non dimentichiamo anche gli aspetti valoriali: il confronto tra diverse culture, diverse religioni, diversi sistemi di valori che offrono modelli di identità e legittimità differenti.
Non è più come una volta che erano modelli nettamente separati?
No, una volta potevano scontrarsi, ma ognuno aveva le sue radici e i suoi confini. Nel mondo globalizzato di oggi è più facile che queste identità finiscano per scontrarsi o per snaturarsi, dando origine a sistemi sociali altamente contraddittori e instabili. Questa è la grande sfida delle società multiculturali. Se devo comunque identificare un problema particolare del nostro tempo che pone sfide inedite alla sicurezza internazionale lo vedo nel processo di continua erosione della statualità, con i processi correlati di privatizzazione e criminalizzazione delle relazioni internazionali.