Del “caso Scirè” hanno parlato giornali, televisione, social media; di poco tempo fa, persino una lettera del presidente Mattarella è arrivata allo studioso, vittima del sistema baronale dell’università italiana.
Tutto nasce infatti nel 2011, quando un giovane ricercatore siciliano, emigrato a Firenze a studiare e far carriera, vede realizzare un sogno inaspettato: l’Università degli Studi di Catania, venuta alla ribalta per l’inchiesta dello scorso anno “Università Bandita”, emana un posto di tre anni per l’ambito disciplinare di “storia”. Il concorso avviene, ma la commissione, i cui membri sono stati indagati per abuso di ufficio, decreta che sia più meritevole di quel posto una candidata che vanta una specializzazione in altro ambito, quello dell’urbanistica e dell’architettura.
Inizia allora l’iter giudiziario dell’“eroe” Giambattista Scirè che colleziona una serie di vittorie in quanto tutti i tribunali gli danno sempre ragione. Qual è la situazione odierna?
A Scirè è stata stroncata una carriera accademica promettente, prima del maledetto concorso truccato del 2011, ed è “disoccupato”, mentre l’altra candidata è professoressa associata. Allora Scirè, approfittando della clausura forzata, si dedica a una sua passione, che aveva messo nel cassetto da anni, e tra un’intervista e l’altra scrive il suo primo romanzo: Il virus della paura (Santelli, 2020).
È un giallo socio-psicologico, che si dipana durante l’emergenza sanitaria in Italia. La trama riprende le funeree atmosfere della pandemia del coronavirus, in cui tutto il Belpaese è rinchiuso in casa e “mascherato” per non respirare il nemico invisibile. Il protagonista è Paolo, un ex-storico e imprenditore, che ha perso tutto ammalandosi di questa malattia contagiosa. Non è fortunato nemmeno in amore: la fidanzata lo lascia perché gli dà la colpa del contagio, e nemmeno le finanze lo consolano: l’azienda chiude perché non sostiene più le spese del lockdown.
Tutto sembra volgere al peggio: il suicidio? Paolo trova però un punto di forza nel suo vecchio amico Lorenzo, il quale pare avere una doppia vita, nascosta ai più. Per una serie di coincidenze Lorenzo mostra a Paolo documenti segreti, gli fanno conoscere il misterioso Dott. Francis Bacon. Viene fuori un complotto, in cui il misterioso virus è stato “scatenato” come la furia di Massimo, protagonista de Il gladiatore.
Paolo si mette a indagare, come se fosse stato scelto dal destino per venire a capo di questo intrigo. Il romanzo d’esordio di Scirè è appunto tale: egli infatti è un consumato saggista di libri storici di alta divulgazione e articoli e monografie più accademiche. Il romanzo ne risente in qualche punto, laddove il ritmo narrativo, ad esempio, si “sofferma” indugiando in qualche descrizione di dettagli non funzionali. Anche i dialoghi, qualche volta, risentono di una mancata tecnica che si raggiuge con l’esperienza.
Leggiamo, insieme, uno dei punti meglio riusciti per stile e immaginazione, ovvero un passo di una lettera di Celeste al protagonista: “Le famiglie sono chiuse in quarantena nelle loro case, escono a turno solo le persone autorizzate per procurarsi beni di prima necessità. Altre case sono state del tutto abbandonate. Prima di rimanere chiusa, forzata qui dentro, ho deciso di dare un’occhiata in giro, giorni fa. C’erano file e razionamenti ovunque. Ora gli edifici sono lasciati andare, sporchi e pieni di immondizia. Ovunque regna il caos. Ho visto molti computer e altri apparecchi elettronici rimasti accesi, come una playstation in una abitazione con una partita avviata. Tutti, da qualche tempo, sono fuggiti all’improvviso. Non so cosa stia accadendo. Prima di rinchiudermi a casa, ho deciso di esplorare quasi tutto il quartiere. Le strade piene di cartacce e di vecchi indumenti. In un’auto abbandonata ho trovato un cellulare con poca batteria, ma ancora funzionante, che ho usato per cercare di chiamare mia madre, che si trova chissà dove, digitando il numero che l’anno prima mi aveva fatto imparare a memoria. Mi ha risposto una voce registrata: “la persona cercata non è al momento disponibile”. Ho trascorso tutta la notte nella speranza che da quel numero mia mamma mi richiamasse. Ho i muscoli paralizzati dal virus della paura. Spero che qualcuno mi aiuti e venga a salvarmi. Intanto lascio questo messaggio nella speranza che qualcuno si faccia vivo”.
La lunga citazione ci mostra la volontà dell’autore di offrire uno schizzo dal sapore apocalittico, dove l’ambiente urbano distrutto è lo specchio della condizione interiore: la paura dell’immobilismo e della solitudine. In questo caso, la psicologia emerge bene dalla descrizione, in quanto Scirè è “abile” nel raccontare la desolazione, la paura, lo smarrimento dei personaggi, in particolare di Paolo, ex storico come lui.
Il romanzo è breve e scorrevole: perciò alcuni “difetti”, ovvi, dovuti a un’opera prima, sono passabili, rispetto alla tenuta della trama e soprattutto alla ricerca del senso di ciò che accade. Il protagonista, pur negli ingredienti del genere giallo, cerca di dare ordine alla realtà del caos (il virus ne diventa metafora), come lo storico riordina i fatti per darne una valutazione, alla ricerca del senso dell’accadere umano.
Scirè ci offre, alla fine, un romanzo di piacevole lettura, in particolare per portarlo con noi in vacanza, con un finale stupefacente. Da paura.